mercoledì 20 aprile 2011

Giri di parole V

Il silenzio è freddo ma la voce è calda

Avete mai sentito dire "voce calda", "carattere ruvido", "freddo silenzioso", "sorriso amaro", "prezzi salati", "colori squillanti" e via dicendo? Tutte queste espressioni sono esempi di un tipo di metafora particolare, che consiste nell'unire due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse. Se ci pensate bene, la voce può essere bassa, o alta, ma non calda, visto che non sprigiona calore; un carattere non può essere ruvido, visto che non lo possiamo toccare; i sorrisi e i prezzi non si possono assaggiare; i colori non fanno rumore e non possono certo squillare.
I poeti si servono spesso di questa figura retorica, che permette loro di associare sensazioni diverse: per esempio Giosuè Carducci nella poesia "Il bove" ha scritto:

In divino del pian silenzio verde

per evocare il silenzio dei campi. Giovanni Pascoli nella poesia "Il gelsomino notturno" ha usato l'espressione pigolìo di stelle, per alludere al tremolare delle stelle della costellazione delle Pleiasi, simili a pulcini, e Fabrizio De André, nella canzone "Il sogno di Maria", ha scritto corsi a vedere il colore del vento, anche se il vento non ha colore.



Dimenticavo la cosa più importante: come si chiama questa figura retorica?
Si chiama sinestesìa, parola che in greco significa percezione simultanea, perché in essa vengono accostate simultaneamente percezioni appartenenti ai diversi sensi (vista, udito, gusto, tatto, odorato).


Da: Popotus, 6 novembre 2010

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