Dante Alighieri irrompe nell'800 a diversi livelli.
Il più scontato è, sicuramente, quello della critica letteraria sulla sua opera maggiore, la "Divina commedia".
Più interessante è invece il rapporto tra la critica letteraria e la figura dell'Alighieri.
Citando solo alcuni dei critici che hanno scritto su dante possiamo parlare, in primo luogo, di Giulio Perticari. Lo scrittore italiano (1779-1822) inizia a costruire un Dante portatore di alti valori morali e virtuosi. Perticari, inoltre, assurge il poeta al ruolo di padre della lingua italiana e modello di letterato.
Il noto poeta Ugo Foscolo (1778-1827); che pochi sanno essere stato anche un critico; dà inizio all'europeizzazione della figura di Dante, sottolineando anche la sua attualità. Mazzini (1805-1872), in seguito, riprenderà questa idea ed esorterà tutti gli italiani a leggere i versi di Dante e non i suoi commenti.
Carlo Cattaneo (1801-1869) si concentra invece, polemizzando con Balbo, sull'immagine fisica di Dante riprendendo l'idea cosmopolita di Foscolo.
La definizione dell'immagine dell'Alighieri, nel Risorgimento, si chiude con De Santis (1856-1859).
Uno stretto rapporto è esistito anche tra Dante e gli scrittori risorgimentali.
In alcune opere come "Ultime lettere a Jacopo Ortis" o "Sepolcri", chiari sono i riferimenti al poeta: Jacopo è un esule come Dante e, come lui, considera la viltà come il peggior crimine. Nei "Sepolcri", invece, viene coniata l'espressione "ghibellin fuggiasco" che, da quel momento, indicherà Dante.
[...] Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’ aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
e tu i cari parenti e l’idïoma
désti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d’ un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma piú beata che in un tempio accolte
serbi l’itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t’invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto. [...]
Leopardi, invece, riprende da Dante l'idea di indignazione di fronte al mal costume dilagante.
Rispetto all'immagine che ci viene data dalla letteratura, nelle arti figurative Dante ci appare molto spesso pensoso, in disparte e mai al centro della scena.
In Doré vediamo Dante sempre rappresentato o accanto a Virgilio o inginocchiato verso le altre figure presenti.
Un ultimo livello può riguardare il rapporto tra Dante e la musica.
L'esempio più calzante, in quest'ottica, è l'aria del "Nabucco" di Verdi "Va pensiero". In quest'aria T. Solera riprende il lessico dantesco e la figura dell'ebreo che lo stesso Dante aveva tracciato.
Liberamente tratto dall'intervento della professoressa G. Nuvoli al convegno "Milano da Leggere"
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