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sabato 23 marzo 2013

XXI Giornata FAI di Primavera: la Cittadella di Alessandria

Per natale la "mia dolce metà" mi ha regalato un cofanetto un po' particolare: "Italia da amare", cioè iscrizione annuale di coppia al FAI.

Oggi, approfittando della "Giornata FAI di Primavera", abbiamo deciso di andare a visitare la Cittadella di Alessandria, che quest'anno è anche il "Luogo del cuore" che ha ricevuto il maggior numero di voti (53.953).


La Cittadella, costruita per volere di Vittorio Amedeo II di Savoia tra il 1726 e il 1728 su progetto di Ignazio Bertola, con i suoi 74 ettari di superficie, è uno dei più grandi esempi di fortificazione settecentesca in Europa. Durante il Risorgimento divenne il luogo simbolo dei moti rivoluzionari e qui sventolò per la prima volta il tricolore. Dal 2007, anno in cui i militari hanno abbandonato il complesso, per la fortezza è iniziato un lento degrado che ha raggiunto oggi livelli preoccupanti.



Quest'anno il FAI ha deciso di dare risalto soprattutto ad una parte ben precisa della Cittadella: il quartiere Forni, costruito durante il periodo di occupazione napoleonica tra il 1800 ed il 1814.
L'edificio, già operativo nel 1815, era progettato per contenere 6 forni, di cui ne rimangono solo tre, al pian terreno e dei grandi magazzini per le farine al primo e secondo piano per un totale di più di 4400 sacchi.
L'edificio possiede anche ampie cantine voltate su 12 pilastri a pianta quadrata e 2 pozzi per l'acqua.
Questo edificio ha subito durante la sua storia pesanti ristrutturazioni che l'hanno portato nell'ultimo periodo di utilizzo e cioè fino al 2007 ad essere adibito a Palazzina Comando all'interno del Magazzino Militare misto "tipo B" R.M.N.O.



Il FAI, insieme ai panificatori alessandrini, ha oggi messo in funzione uno dei tre forni rimanenti, offrendo a tutti i visitatori del buonissimo pane sfornato al momento.


Oltre ai forni abbiamo visitato, con due bravissimi ciceroni di seconda media, tutta la cittadella e, come soci FAI, anche i sotterranei in cui sono state girate anche delle scene della miniserie RAI "Violetta".


Sotto l'ospedale, poi, è possibile visitare il sacrario della 38° Brigata Ravenna, che combatté sul fronte russo durante la Seconda Guerra Mondiale; mentre nel Palazzo del Governatore è ospitata una mostra di divise militari ed armi.

venerdì 27 gennaio 2012

Venerdì del libro: Un secolo di bambini

Oggi, per il "Venerdì del libro" di Homemademamma, vi propongo un libro che mi ha un po' perseguitato.
La prima volta che l'ho visto è stato in un mercatino dell'usato a Busto Arsizio. L'avevo guardato e mi aveva incuriosito ma, alla fine, l'avevo lasciato sugli scaffali. Dopo qualche tempo l'ho ritrovato in un'altro mercatino dell'usato e mi sono decisa ad acquistarlo.
Il libro; scritto a sei mani da Roberto Piumini, Lucia Castelli e Giovanni Caviezel; si intitola "Un Secolo di Bambini - Racconti del Novecento".


La quarta di copertina vede il libro presentarsi da se al lettore:
Caro lettore, in questo libro ci sono dieci storie, una per ogni decennio del secolo appena finito: il secolo ventesimo.
Ogni storia parla di un bambino o di una bambina che come te guardano e si muovono fra le persone, i fatti e i segni del loro mondo: un mondo in cui hanno vissuto i tuoi bisnonni, i tuoi nonni e i tuoi genitori, ma che era molto diverso dal mondo di oggi.
Direi che la presentazione dice già tutto... Non mi resta che augurarvi buona lettura!!


giovedì 17 novembre 2011

Oscar Luigi Scalfaro: Lezione di Costituzione

Visto che siamo ancora nell'anno delle celebrazioni del 150° compleanno dell'Italia unita vorrei riportare una parte del discorso che nel marzo del 1988 Oscar Luigi Scalfaro, allora semplice deputato DC, fece a Osimo (Ancona).
Quella del futuro Capo dello Stato fu una lezione sulla Carta costituzionale italiana, non solo dal punto di vista giuridico e politico, ma anche umano.
La conferenza è giunta fino a noi grazie al ritrovamento, nel 1996 da parte di "Panorama", di una registrazione a cui seguì la pubblicazione dei passaggi più importanti.


Quando ci fu la prima seduta dell'Assemblea costituente, il 25 giugno 1946 (le votazioni erano state il 2 giugno), presiedette Vittorio Emanuele Orlando: quello che a scuola era stato presentato come "il Presidente del Consiglio della vittoria".
Allora, terminata la seduta [...], ci fu un grido in aula fatto dagli anziani.
Il grido fu "affissione".
"Affissione" vuol dire che un discorso è ritenuto dall'Assemblea così elevato che merita di essere stampato e messo all'affissione in tutti i Comuni d'Italia.
Così fu per il discorso inaugurale tenuto da Vittorio Emanuele Orlando che presiedette perché era il più anziano. [...] Si cominciò così un lavoro in un'Assemblea che aveva talune caratteristiche che io sottolineo rapidamente con qualche pennellata.

La prima caratteristica era che il denominatore comune in questa Assemblea era certamente un no alla dittatura fascista. [...]

La Carta si presenta [...] come due grandi tavole.
In una vi sono scritti i principi, quelli che sono i valori dell'uomo. Vi sono scritti quei diritti che sono assolutamente inviolabili, dirà l'articolo 2.
Nell'altra vi sono presentate le istituzioni attraverso le quali quei principi passano dall'essere scritti a diventare la realtà di un popolo. Gli istituti democratici hanno il compito di tutelare qui principi, di renderli vivi per ciascuno nel modo migliore, di ripristinarli quando in qualche modo sono offuscati, conculcati, sminuiti, mortificati.
Questa è la seconda tavola: il Parlamento, il governo, la magistratura, la Corte costituzionale, la distribuzione del Paese in comuni, province, regioni: tutto questo può essere preso in considerazione per essere migliorato e aggiornato.
Per la prima parte ritengo che non esista al mondo una Carta più completa e più umana, la quale non è sufficientemente presentata e conosciuta dal popolo italiano, anche, a volte, da ambienti che dicono di credervi e che sono colti e preparati.
Mi è capitato più volte di sentire delle obiezioni che hanno solo il sapore di chi non ha mai voluto perdere il tempo di leggerla o di meditarla.
Ma, non posso non elogiare quell'Assemblea costituente che ha avuto la capacità e la saggezza di scriverla. [...]

Nessuno dei grandi partiti che avevano fatto una lunga e a volte sanguinosa lotta duramente pagata, lotta alla dittatura, voleva essere tagliato fuori dal firmare, dal partecipare e scrivere una Carta di questo genere. [...]
Lì dentro, sui seggi a volte lontanissimi uno dall'altro, vi erano uomini che erano stati in galera insieme, vi erano uomini che erano stati all'estero 10-20 anni insieme, vi erano uomini che avevano sofferto insieme!
Molte volte io vidi sui più anziani del mio partito, nei momenti in cui la politica ci divideva da altri gruppi [...], la forza di mantener ferma un'impostazione in cui credevamo, ma anche una certa pena, quasi che si turbasse un rapporto umano di chi aveva pagato insieme.
Queste sono ricchezze da non disperdere! [...]
Sotto la Costituzione vi sono anche formidabili realtà umane che hanno aiutato uomini di provenienze diverse, di strade diverse, a sentire l'impegno di prendere insieme la penna, Mani diverse per scrivere queste pagine per il popolo italiano. [...]

Ecco, il punto più vivo, la vera grande scelta è che questa Carta è per l'uomo. Questa Carta è per la gente. E' per ciascun cittadino.
Non vi è dubbio che sia stata scritta con questo intendimento e non vi è dubbio che ha questa impostazione. [...]
Vedete, io non dimentico, quando votammo l'articolo 1. L'Aula scattò in piedi. Erano momenti di entusiasmo, ma anche di grande emozione. E quando applaudimmo l'articolo 2 che per me, per la mia visione, per il mio gusto (ma non credo di essere lontano davvero) è il cuore.
"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo".
Ecco, io vi devo confessare che ogni volta che parlo di questo [...] mi emoziono tanto perché il termine "riconosce" è la condanna di tutte le dittature di ieri e di oggi e speriamo non spuntino domani. [...]
Noi uscivamo da un'esperienza dittatoriale dove lo Stato diventava colui che inventa, genera i diritti li dona al cittadino essendo lui, il germinatore del diritto, il padre del diritto e anche colui che ne dispone. Quindi lo toglie, lo riduce a seconda dei momenti e a seconda delle argomentazioni che lui crede di dover fare sulla realtà storico-politica del momento.
Un'impostazione umana dice: "L'uomo è prima dello Stato. L'uomo è colui che mette al mondo lo Stato. Dall'uomo deriva lo Stato".

E in questa impostazione umana, e aggiungo cristiana, c'è un fatto armonico pieno di fascino: dall'uomo discende lo Stato, il quale ha un compito solo, quello di servire l'uomo. [...]

File:Scalfaro Oscar Luigi 3.jpg


Per terminare ecco un breve video sulla Costituzione italiana che riassume i principi fondamentali.


venerdì 1 luglio 2011

Venerdì del libro: Ho attraversato il mare a piedi

Oggi, per partecipare all'iniziativa di Homemademamma, vi propongo un libro che ho scoperto girovagando per la libreria Feltrinelli della Stazione Centrale di Milano.


A colpirmi è stata soprattutto la copertina. Il davanti lo vedete nell'immagine qui sopra, mentre dietro si vede la stessa ragazza ripresa dall'altro lato.
Il libro, edito da Mondadori, è consigliato dai 14 anni in poi e ben si inserisce nell'ambito delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia.

Qui sotto vi riporto il "riassunto" che ne danno in rete:

"Dopo due femmine, mia madre e mio padre volevano un maschio. Invece sono arrivata io." Con queste parole inizia l'incredibile racconto di Anita, la sua avventura, il viaggio della sua vita che la porterà dal Brasile in Italia, da semplice ragazza a eroina dei due mondi. A soli quattordici anni Anita è costretta a sposare un uomo che non ama. Ma lei già sogna l'oceano che un giorno attraverserà, sogna un destino diverso, sogna l'amore, quello vero. Anita non è fatta per obbedire ai prepotenti, non è fatta per subire i soprusi, non può rinunciare ai suoi ideali. A diciotto anni incontra José Garibaldi, il "pirata italiano". Se ne innamora perdutamente. "La mia felicità ha un nome: José. Non avevo mai pensato che potesse accadere. A me." Questo libro racconta l'amore di Anita e Giuseppe Garibaldi. E di una dellei più forti passioni che li unì: l'Italia.

Sullo stesso scaffale ho poi trovato anche questo nuovo libro di Paola Zannoner: "Rocco + Colomba. Una storia d'amore nel Risorgimento".


Ecco la quarta di copertina, giusto per incuriosire...

Marsala, 1860. Un fallito attentato a Garibaldi, appena sbarcato sull’isola e accolto da una folla esultante, fa esplodere l’amore fra Rocco detto “Marinaretto”, il più giovane fra i Mille, e la siciliana Colomba. E’ una storia a tinte rosa quella scelta da Paola Zannoner per il suo nuovo libro Rocco + Colomba, edito da De Agostini. Un racconto che, dipanandosi secondo un copione classico - la passione che esplode fra due iniziali nemici, un po’ come nell’Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, non a caso citato dall’autrice - ha il merito di trasportare i giovani lettori (il libro è consigliato dai 10 anni in su) in un’epoca storica che per quanto al centro, quest’anno, di tante celebrazioni, difficilmente riesce a catturare, fra i banchi di scuola, l’interesse degli adolescenti. Se l’attentato all’Eroe dei due mondi è pura finzione narrativa, perfettamente reale è il contesto di un’Italia che segue con attenzione ed entusiasmo l’epopea dei Mille, ma al tempo stesso ne paga le derive violente, soprattutto in una Sicilia dove la mafia comincia a muovere i primi passi. E reali sono anche alcuni personaggi che fanno da cornice all’amore fra i due giovani: Garibaldi, Bixio, Crispi e persino lo scrittore Alexandre Dumas padre.

martedì 7 giugno 2011

Excelsior

Il 12 e il 13 giugno (con repliche anche il 23 e 24) andrà in scena all'Auditorium della Conciliazione di Roma il balletto classico di repertorio "Excelsior" con musica dal vivo eseguita dall'Orchestra Sinfonica di Roma.
Il balletto; inserito nel programma dei festeggiamenti dei 150 anni dell'Unità d'Italia; fu creato da Luigi Manzotti (1835-1905) su musiche di Romualdo Marenco.



La storia immaginata racconta l'amore-odio tra l'Oscurantismo, legato al passato e contrario a ogni progresso, e Luce, ricca di generosità e di speranze. La lotta fra questi due esseri (il primo immaginato come un uomo vestito di nero e la seconda come una bellissima e invincibile donna) scandirà tutta la vicenda fino all'apoteosi finale in cui il Bene trionfa sul Male.
Nonostante l'inconsueta trama, quest'opera, che Manzotti chiamò all'inizio "Ballo Granze", trovò subito una buona accoglienza anche in un tempio della danza come il Teatro alla Scala di Milano. Artefici del grande successo furono senza dubbio le ricche coreografie e la musica orecchiabile che portarono l'Excelsior ed ottenere un grandissimo successo sin dalla su prima rappresentazione, l'11 Febbraio del 1881. I trionfi su susseguirono fino al 1914 quando la guerra mostrò al mondo quanto ancora ci fosse da fare prima che l'utopia dell'Excelsior diventasse realtà.
Il balletto venne "riscoperto" nel 1967 durante il Maggio Musicale Fiorentino. Il grande successo gli fece ritrovare nuovamente i palcoscenici dei maggiori teatri del mondo.
Il balletto è diviso in due parsi al loro interno divise in scene:

Parte I
  • L'Oscurantismo
  • La luce
  • Il battello a vapore
  • Il ponte di Brooklyn, a New York
  • Il laboratorio di Alessandro Volta
  • L'elettricità e il telegrafo senza fili
Parte II
  • La luce, lo schiavo e l'Oscurantismo
  • La tempesta nel deserto
  • Il canale di Suez
  • Il traforo del Moncenisio
  • La Luce sconfigge l'Oscurantismo
  • L'apoteosi

mercoledì 20 aprile 2011

Museo senza porte

Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura.
Italo Calcino, Le città invisibili, 1972


Al centro di Milano, a unire piazza del Duomo con piazza della Scala, tempio laico della musica, si trova una galleria coperta in verro e vetro sulla quale si affa
cciano gli eleganti negozi della città: un passage degno di una capitale, dove il flaneur può soffermarsi a parlare del tempo atmosferico senza timori.
Il progetto della Galleria Vittorio Emanuele II, a firma dell'architetto Mengoni, trova compimento il 15 settembe 1867 alla presenza del Re, che inaugura un edificio che è manifesto e programma della città.
Milano si affaccia al XX secolo assumento una precisa vocazione nell'ambito del nuovo Stato unitario: essere il centro propulsore del rinnovamento. Nelle sue vie e nelle sue periferie, in rapida crescita, si esprime un insieme nuovo e illuminato di stimoli e possibilità, che accendono l'immaginazione nutrita del dinamismo della moderna rea
ltà urbana.

Galleria Vittorio Emanuele II - Ottagono - Caffè ristorante Biffi

La proposta iconografica della Galleria del Mengoni colloca nell'ottagono al centro della crociera, le personificazioni di quattro continenti (Europa, America, Africa, Asia), mentre sugli archi dei bracci brevi, pone le allegorie delle attività umane: l'Agricoltura e l'Arte, di Eleuterio Pagliano e Raffaele Cosnedi, l'Industria e la Scienza, di Bartolomeo Giuliano e Angelo Pietrasanta, a monito per la comunità dell'importanza di non trascurare
gli ambi
ti nei quali si esprime il genio e si investe il patrimonio delle energie individuali e comunitarie.
La metropoli celebra così la laboriosità e il fermento dei suoi cittadini e della nuova classe sociale emergente, quella borghesia colta e produttiva che riconosce, nei termini iconografici, la propria operosità.
I commenti della critica e dei cittadini, sulla stampa di quei giorni, indicano le semilunette come le opere meglio riuscite dell'intero complesso decorativo: riferiscono d'immagini preziose ed eleganti, emergenti sul fondo oro, efficaci nella portata allegorica.
La città si pone quale modello vincente da guardare come esempio e, attraverso i sui "manifesti" dipinti, da ammirare.

A causa del deterioramento le semilunette sono state rimosse e arrotolate su un piccolo cilindro ligneo di quelli in uso per le scenografie del Teatro alla Scala e conservate per decenni nei depositi della Galleria d'Arte Moderna di Milano. Lo stato conservativo e le dimensioni imponenti, 34
0 x 387 cm con uno sviluppo di nove metri ciascuna, hanno reso difficile la loro movimentazione: sono state recuperate solo nel 2004, in occasione dei lavori di ripristino edilizio dell'edificio, d'inventariazione e riordino dell'intera collezione.
E' così iniziato un primo lavoro di salvaguardia consap
evole dei dipinti, avvolti con più corretto sistema di conservazione su quattro cilindri e, a seguire, il lavoro di studio preliminare compagno di ogni restauro.
Fin dal momento della loro riscoperta, il GAM ha scelto di procedere alla realizzazione in loco del restauro nella consapevolezza che si stava apr
endo un vero e proprio nuovo "cantiere" milanese.
La complessità del restauro lasciava infatti presagire la necessità di avvalersi delle esperienze di openstudio già realizzate dal Museo con coinvolgimento di figure professionali, fuori dalla logica di bottega, in una sinergia di competenze.

La scienza e L'industria prima del restauro

I quattro dipinti sono stati realizzati con la medesima tecnica esecutiva: tempera su tela con il fondo in oro zecchino. Gli strati cromatici sono sottili, assimilabili, nella costruzione, alla tecnica scenografica. [...] Si tratta di una tecnica pittorica scelta per essere eseguita con rapidità: le semilunette, infatti, erano state dipinte in soli tre mesi, poco prima dell'inaugurazione della Galleria.
Le opere hanno come supporto una tela ad armatura a saia che ha la peculiarità di unire leggerezza e resistenza, perfetta per le loro dimensioni e destinazione.
Le semilunette sono accomunate anche dalla medesima storia conservativa ed è per tale ragione che le procedure di restauro sono state e saranno analoghe per le quattro tele.

Il processo restaurativo è divisibile in sei fasi:
  • la costruzione del cantiere per la movimentazione delle semilunette e la loro distensione;
  • la pulitura della parte figurativa e del fondo in oro;
  • il consolidamento degli strati costitutivi del dipinto, dalla tela alla cromia;
  • la sutura delle lacerazioni tramite la tessitura di una tela apposita o la ritessitura con ago e filo;
  • la creazione di un supporto della tela con una rete di Kevlar;
  • un intervento estetico per portare gli inserti al tono della tela originale.
Attualmente le tele dell'Industria e della Scienza, già restaurate sono esposte al primo piano della GAM, mentre L'agricoltura e l'Arte sono in fase di restauro e sono visibili sempre al primo piano della Galleria



Da: Museo senza porte - La Galleria d'Arte Moderna nella Galleria Vittorio Emanuele II

lunedì 18 aprile 2011

Era la sera la battaglia di Magenta

La Battaglia di Magenta è un episodio storico risalente alla seconda guerra di indipendenza italiana. Fu combattuta tra il 4 giugno 1859 a Magenta tra austriaci e franco-piemontesi.


A questo fatto si ispira una canzone popolare molto divertente da far mimare ai bambini che, giocando, apprendono anche i primi rudimenti sul cambio di ritmo.

Era la sera, battaglia di Magenta
Oh, che piacere vedere i cavalieri.
Cavalieri, al passo!

Era la sera, battaglia di Magenta
Oh, che piacere vedere i cavalieri.
Cavalieri, al passo! Al trotto!

Era la sera, battaglia di Magenta
Oh, che piacere vedere i cavalieri.
Cavalieri, al passo! Al trotto! Al galoppo!

Era la sera, battaglia di Magenta
Oh, che piacere vedere i cavalieri.
Cavalieri, al passo! Al trotto! Al Galoppo!
Con una mano!

Era la sera, battaglia di Magenta
Oh, che piacere vedere i cavalieri.
Cavalieri, al passo! Al trotto! Al Galoppo!
Con una mano! Con due mani!

Era la sera, battaglia di Magenta
Oh, che piacere vedere i cavalieri.
Cavalieri, al passo! Al trotto! Al Galoppo!
Con una mano! Con due mani! Con un piede!

Era la sera, battaglia di Magenta
Oh, che piacere vedere i cavalieri.
Cavalieri, al passo! Al trotto! Al Galoppo!
Con una mano! Con due mani! Con un piede! Con due piedi!

Era la sera, battaglia di Magenta
Oh, che piacere vedere i cavalieri.
Cavalieri, al passo! Al trotto! Al Galoppo!
Con una mano! Con due mani! Con un piede! Con due piedi!
Bum


Potete trovare la base sul testo:
"Suoni e musiche per i piccoli" di E. Maule e S. Azzolin, casa editrice Erikson

domenica 17 aprile 2011

Galleria d'Arte Moderna di Milano

Galleria d'Arte Moderna di Milano: la più grande collezione municipale di opere dell'Ottocento

La GAM di Milano ha sede nella villa ideata tra il 1790 e il 1769 su progetto di Leopoldo Pollack: Villa Belgiojoso.

Prospetto della facciata anteriore della Villa

La Villa è una costruzione di tre piani avente due ali avanzate più basse che vanno a delimitare una corte d'onore. Nella Villa si distinguono due facciate principali, delle quali è però la seconda, nascosta alla vista perché in affaccio sul giardino, ad essere la più importante dal punto di vista artistico e figurativo.

Veduta panoramica della Villa e del giardino

Il giardino all'inglese della Villa, il primo a Milano, è stato progettato su commissione del conte di Belgiojoso dall'architetto Pollack con la collaborazione del conte Ercole Silva. Oggi il parco, con al centro un laghetto, è aperto solo alle famiglie con bambini da 0 a 12 anni.

Il percorso espositivo inizia al pian terreno con le opere neoclassiche di Appiani, Bossi, Canova e Hayez. Proprio in una delle sale di questo piano (Sala III) venivano svolti fino a pochi anni fa i matrimoni civili.
Al primo piano, dopo lo scalone monumentale, tre intere sale di ritratti introducono ai capolavori del Romanticismo, della Scapigliatura, del Divisionismo e del Realis
mo. Sale monografiche sono invece dedicate ai fratelli Induno, Piccio, Cremona, Ranzoni,...
Conclude il percorso di visita la Collezione Grassi che si trova al secondo piano, con i suoi capolavori di pittura italiana ed europea del XIX secolo insieme ad alcuni manufatti orientali.

Veduta del Lago Maggiore dalla Villa di Ada Troubetzkoy 1872, Renzo Daniele

Durante la XIII Settimana della Cultura, la GAM ha presentato, ogni giorno, un quadro differente che, per diversi aspetti, poteva essere significativo in quest'anno di festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia.
Uno dei quadri selezionati è questo ritratto di Giuseppe Garibaldi realizzato da un autore anonimo nel 1850.

Giuseppe Garibaldi

Questo quadro, solitamente non visibile, ben ritrae i tratti che Alexandre Dumas ha menzionato nelle sue memorie, così come hanno fatto autori più famosi come Induno .


Garibaldi è stato però rappresentato anche su supporti meno "convenzionali" come orologi da tavolo e parascintille.
Dal punto di vista letterale, una descrizione originale di Garibaldi ci viene fornita da E. Gavazzoni del poema "I lunatici", che tra l'altro ha ispirato il film di Fellini "La voce della luna". In questo componimento l'eroe dei due mondi viene descritto come un uomo mosso da forti passioni, ma molto distratto e confusionario, che molto spesso confonde il passato con il presente.
Proprio questa descrizione dissacrante sembra calzare perfettamente al condottiero rappresentato nel quadro anonimo che veniva presentato.




Galleria d'Arte Moderna di Milano
via Palestro 16, Milano
Orari: da martedì a domenica dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.30
Ingresso gratuito

venerdì 15 aprile 2011

Le 5 Giornate di Milano in gioco

In molti musei ed uffici turistici milanesi viene distribuito un interessante opuscolo "Le 5 Giornate di milano 1848-2011" che vuole spiegare ai più giovani questo importante evento risorgimentale.


Con l'espressione le "Cinque giornate di Milano" ci si riferisce al periodo compreso tra il 18 e il 22 marzo 1848, nel quale Milano insorse e si liberò dal dominio austriaco.
Certamente fu uno dei più importanti episodi della storia risorgimentale italiana.
In quel tempo la città di Mila
no era la capitale del Regno Lombardo-Veneto, che faceva parte dell'Impero Austriaco. Il presidio dell'Impero Austriaco a Milano era comandato dal Maresciallo Josef Radetzky.
La dominazione austriaca era dura e, con le tasse, opprimeva quella che era la parte più prospera e sviluppata dell'Impero.
Il malcontento della popolazio
ne e il desiderio di liberarsi dal dominio austriaco crebbero sino a che, il 18 marzo 1848, la Città di Milano insorse.
Un'insurrezione che fu in grado di influenzare il corso della storia italiana e la decisione del Re di Sardegna Carlo Alberto che, dopo aver a lungo esitato, dichiarò guerra all'Impero Asburgico, approfittando della debolezza degli Austriaci in ritirata.


Per presentare in modo accattivante questo episodio storico è stato studiato un gioco dell'oca ad hoc. Nelle 63 caselle sono riassunti i fatti più importanti, i personaggi principali, lo scudo di Milano, ...
Anche il gioco in se stesso è nato durante una battaglia, ma molto più antica. Si dice, infatti, che il "Gioco dell'oca" sia stato inventato dalle truppe greche accampate sotto le mura di Troia. Un passatempo quindi, per rompere la monotonia di un lungo assedio. I soldati avrebbero riprodotto con il tipico tracciato a spirale la struttura delle mura della città.


Per informazioni: turismo.milano.it

giovedì 24 marzo 2011

Bandiera madre

I tre colori della vita

"Raccolgaci un'unica bandiera, una speme".
Le parole scritte dal giovanissimo Goffredo Mameli nel suo Canto degli Italiani rappresentano, sin da quel lontano 1847, l'idea dell'unità d'Italia.
La bandiera italiana è il simbolo dell'Italia al quale ogni italiano è legato sin dalla prima infanzia.
La sua nascita è segnata il 7 gennaio 1797, a Reggio Emilia, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, decreta l'adozione della bandiera tricolore.


In occasione del 140° Anniversario dell'unità nazionale, che ha avuto luogo a San Martino della Battaglia, il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, afferma che: "Il tricolore non è una semplice insegna di Stato. E' un vessillo di libertà conquistata da un popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi di fratellanza, di eguaglianza, di giustizia. Nei valori della propria storia e della propria civiltà".

Rita Levi Montalcini
nota introduttiva a "Bandiera madre" di Ugo Bellocchi

Risorse didattiche:
Testo e spiegazione del Canto degli italiani, meglio noto come Inno di Mameli

mercoledì 16 marzo 2011

Il Cavallo rosso

In questo clima di festa nazionale volevo segnalare un libro che mi era stato consigliato durante l'ultimo anno delle scuole superiori.


Uscito nel maggio 1983, "Il cavallo rosso" di Eugenio Corti è stato considerato un grande caso letterario. Grande sia per la mole di pagine che accompagnano il lettore tra il 1940 e il 1974 sia per il successo riscosso.
Le vicende raccontate si intrecciano con i grandi avvenimenti della storia italiana ed europea. Catturato dalla trama, il lettore gioisce, soffre, ride, piange e cresce insieme con i protagonisti e gli altri personaggi del romanzo che si muovono tra la Brianza e altri luoghi d'Italia, nonché all'estero soprattutto in Russia e in Germania.

Oltre l'Oceano questo romanzo è stato così recensito da P. Milward, professore emerito della Sophia University di Tokyo:

Quel è il più grande romanzo del Ventesimo secolo? Come al solito differenti persone hanno opinioni differenti. Molti voti sono stati espressi a favore di "Ulysses" di James Joyce... Molti inoltre si sono chierati a favore de "Il signore degli anelli" di Tolkien... Ora io ho un terzo voto da assegnare in favore di un recente romanzo italiano che è stato paragonato in non poche riviste a "Guerra e pace" di Tolstoj... Sto parlando de "Il cavallo rosso" di Eugenio Corti, uscito nel 1983... e pubblicato in inglese dalla Igantius Press nel 2000. Per la lunghezza, che nella versione inglese supera le mille pagine, potrebbe benissimo essere paragonato a "Il signore degli anelli", e la quantità è confermata dalla qualità... L'autore emerge come testimone della Chiesa cattolica dei tempi moderni, non solo nell'Italia del dopoguerra, ma anche, e ancor più, nel mondo dopo il Concilio Vaticano II... E' veramente la più grande opera epica cattolica... Non solo è la mia scelta favorita come migliore libro del Ventunesimo secolo, ma considerando la data di traduzione in inglese, chiede d'essere messo in lizza anche per il Ventunesimo secolo.

Questa idea di una storia "cattolica" può essere applicata anche agli eventi che vengono festeggiati quest'anno: il Risorgimento.
La visione cattolica del Risorgimento vede questo periodo storico iniziare con l'invasione di Napoleone che giustifica le sue spedizioni con l'ideale della "Libertà", libertà che in questa interpretazione viene intesa come liberazione dal cattolicesimo e, come nodo centrale, la questione dell'"istruzione".
Durante il Risorgimento la libertà di insegnamento non è stata affermata in modo forte e chiaro come ad esempio è stata affermata la libertà di stampa.
Massimo D'Azeglio; celebre per la sua frase: "L'Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani"; vorrebbe che gli italiani smettessero di essere superstiziosi e vorrebbe imporre delle idee illuministe. Per fare questo i Padri del Risorgimento sciolsero tutti gli ordini insegnati e impedirono ai cattolici di insegnare nelle scuole pubbliche.
Nel 1851 Spaventa affermava che la libertà dovesse valere per tutto e tutti tranne che per la scuola in quanto si sarebbe partiti da una situazione di disuguaglianza in cui le scuole cattoliche erano più numero di quelle comunali.
Nel 1887, una circolare massonica affermava che dovevano essere i Massoni ad occuparsi dell'istruzione, che non bisognava dare "patenti" ai cattolici e che i sindaci dovevano scegliere insegnati neutri o anticattolici perché la scuola doveva essere "libera" dal cattolicesimo. Se questo piano non fosse riuscito, si proponeva di far credere che il clero fosse ottuso, bigotto e predicatore di falsi valori.
Mazzini, nel 1971 a Risorgimento finito, conia il termine "libertà d'istruzione": la propaganda non andava più bene, lo Stato doveva diventare il padrone dell'istruzione per insegnare i principi liberali.
In Italia ci sarebbe, quindi, un monopolio assoluto dell'istruzione, sorvegliato da organi burocratici.


Un film del 1972, "Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato" di F. Vancini, la rivolta scoppiata a Bronte dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia. Garibaldi, nel tentativo di ristabilire l'ordine, invia Nino Brixio in città e lo invita ad applicare lo stato d'assedio. Costituito un tribunale di guerra circa 150 persone vengono giudicate e 5 di queste condannate all'esecuzione capitale. Alla luce delle ricostruzioni successive verrà appurata l'innocenza dei condannati fra i quali l'avvocato Nicola Lombardo.

giovedì 3 marzo 2011

Il risotto di Cavour

La piana vercellese vanta il primato nella produzione italiana del riso. A Novara, sul piazzale della stazione, hanno eretto un monumento alle mondine che per secoli sono accorse da tutt'Italia e si sono chinate per ore a raccogliere questo cereale con i piedi piantati nell'acqua delle risaie

Fin dai tempi di Camillo Benso Conte di Cavour la Piana Vercellese vanta il primato nella produzione italiana del riso. E se oggi l'Italia è il primo produttore europeo con 246.100 ettari coltivati nel 2010, di cui ben 110mila fra Novara e Vercelli, forse lo si deve alla lungimiranza dello statista piemontese. D'altronde, nei campi di Leri, a 25 chilometri da Vercelli, cuore della tenuta che il padre Michele Benso comprò nel 1822, il giovane Cavour sperimentò nuove coltivazioni, sistemi d'irrigazione d'avanguardia e ideò innovative tecniche di allevamento del bestiame e dei bachi da seta. E per drenare l'acqua delle sue risaie fece progettare un collettore di 85 chilometri che esiste tuttora con il nome di Canale Cavour.


Sugli acquitrini di quelle risaie di Vercelli che, insieme con altre situate fra Novara e la Lomellina lombarda fino a Pavia, sono tra le più estese d'Europa, si sono chinate per secoli le schiere di eserciti di donne, con i piedi piantati per ore nel pantano fra biscie, rane e zanzare: erano le mondine alle quali, nel 1971, la città di Novara ha innalzato un monumento nel piazzale della stazione.


Vi arrivarono con la "tradotta" dal Polesine, dell'Emilia, da ogni parte dell'Italia dove l'indigenza obbligava le donne ad andare a cercare ovunque il pane per i figli.
Ebbene, per le oltre ventimila mondine, dai 15 ai 60 anni, che ogni anno giungevano alle risaie piemontesi, i piatti "della festa" erano la paniscia di Novara e la panissa di Vercelli, deformazioni dialettali di "panizza" o "paiccia": due risotti gemelli ma rivali ad oltranza, i cui nomi derivano dal latino medievale panicum, cioè sorta di massa informe o poltiglia. Si tratta infatti di un piatto "villano", ruscico, ma saporitissimo, a base di riso, fagioli, ortaggi e grasso di maiale.




Il risotto al Barolo di Cavour

Camillo Benso conte di Cavour, primo presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia, aveva molte passioni: politica, donne, gioco e, soprattutto, la buona tavola. Lo sottolinea suo padre in una lettera alla madre:
Nostro figlio è un ben curioso tipo. Anzitutto ha così onorato la mensa: grossa scodella di zuppa, due belle cotolette, un piatto di lesso, un beccaccino, riso, patate, fagiolini, una e caffè. Dopodiché mi ha recitato parecchi canti di Dante, le canzoni del Petrarca... e tutto questo passeggiando a grandi passi in vestaglia con le mani affondate nelle tasche.

Ma per lo statista torinese il cibo e il vino avevano anche delle virtù "diplomatiche". "Cattura più amici la mensa che la mente", ripeteva ogni volta che un suo diplomatico partiva per una capitale straniera: e si accertava che nel suo bagaglio ci fosse qualche bottiglia di buon Barolo. E' rimasto celebre l'episodio della sera del 29 aprile 1859 quando, respinto l'ultimatum dell'Austria che intimava la Piemonte di smobilitare, il conte di Cavour avrebbe detto: "Alea iacta est (oggi abbiamo fatto la storia) e adesso andiamo a mangiare".
Effettivamente Cavour amava mangiare bene, tanto che veniva apostrofato "le gros Camille", per la sua proverbiale corpulenza. E prediligeva i primi piatti: gli agnolotti ripieni di carne, i pasticci di pasta o riso e i risotti, specialmente quello cucinato con il Barolo che produceva nelle sue tutte: un nettare generoso e nobile più volte definito il re dei vini, conosciuto in Italia e all'estero per la ricchezza e le gradazioni di sapori e di aromi. Il Risotto al Barolo unisce dunque, in una combinazione ideale, due prodotti che Camillo Benso conte di Cavour mise sapientemente a produzione nelle sue tenute: il riso coltivato a Leri, nel vercellese, e il Barolo, frutto dei suoi vigneti a Grinzane.

Per 4 persone occorrono:
  • 400 gr di riso carnaroli o arborio
  • 50 gr di burro
  • 1 cipolla tritata finemente
  • 2 bicchieri di ottimo Barolo
  • brodo di carne q.b.
  • 1 foglia di alloro
  • sale
  • abbondante parmigiano grattugiato
In un tegame far imbiondire la cipolla con il burro; unire quindi il riso ed insaporirlo nel soffritto. Versare il vino e farlo evaporare a fuoco allegro con la foglia di alloro. Aggiungere a poco a poco del buon brodo di carne e portare a cottura il risotto. fuoco spento mantecarlo con una noce di burro e il formaggio grattugiato. Far riposare per un paio di minuti e servire ben caldo accompagnando con lo stesso Barolo utilizzato per la cottura.

Da: 50 e più, Febbraio 2011

sabato 26 febbraio 2011

I bambini che fecero l'Italia

Centocinquant'anni fa si cresceva in fretta. A dieci anni già si lavorava e capitava anche di venir arruolati

Quando l'Italia era ancora divisa, prima del 1861, i bambini dovevano diventare grandi in fretta. Le famiglie erano molto numerose, magari con dieci fratellini, e spesso non c'era da mangiare abbastanza per tutti: così, per aiutarsi l'un con l'altro, si iniziava a lavorare molto presto, fin dagli otto, dieci anni. Soprattutto nei campi, perché all'epoca gli italiani erano quasi tutti contadini; in città, quei bambini diventavano apprendisti nelle botteghe degli artigiani: fabbri, falegnami, panettieri.
Si soffriva per la povertà, ma si soffriva anche per le malattie e quindi il rischio di morire giovani era molto alto. Infatti erano tanti i bambini che rimanevano senza genitori e venivano accolti, di soli da frati e suore, negli orfanotrofi. Per questo non era strano che già a undici o dodici anni qualcuno di questi bambini-lavoratori diventasse un bambino-soldato; un po' come succede oggi in tanti Paesi del Terzo mondo; e che nel Risorgimento, la grande impresa che ha portato l'Italia a diventare una sola nazione, fossero presenti anche dei ragazzini. Avevano dovuto crescere in fretta, e nell'età in cui oggi si va alla scuola media, allora andavano in battaglia.

G. Toma, Piccoli patrioti http://www.fondazionegaribaldi.it


Da: Popotus, 24 Febbraio 2011

venerdì 25 febbraio 2011

Che l'inse?

E Balilla lanciò il primo sasso

Balilla
Giovan Battista Perasso http://www.comune.montoggio.ge.it

Tutti i bambini che hanno partecipato alle battaglie del Risorgimento avevano un loro mito: Balilla.
Balilla era il soprannome di un bambino; non sappiamo esattamente quanti anni avesse; di Genova, che in realtà si chiamava Giovan Battista. E' vissuto nel Settecento: anche allora l'Italia era divisa e occupata dai soldati stranieri. Nel 1746 nella sua Genova c'erano gli austriaci, che facevano soffrire molto la popolazione. I genovesi erano sempre più arrabbiati; alla fine scoppiò la rivolta e gli austriaci furono costretti a scappare. A dare il via alla rivoluzione era stato proprio Balilla, tirando il primo sasso contro i nemici; tutti gli altri l'avevano poi seguito. Purtroppo alla fine di quella guerra gli austriaci riuscirono a vincere e a tenere ancora l'Italia divisa. Però il gesto di Balilla fu un esempio per tante persone, non solo bambini: quelle che un secolo dopo, con il Risorgimento, sarebbero riuscite a unire davvero l'Italia.

Particolare del quadro di "Rivolta di Portoria" (G. Comotto)


Da: Popotus, 24 Febbraio 2011

Garibaldi blues

Il Risorgimento e l'epopea dei Mille nelle canzoni popolari italiane



La cultura romantica affida alla musica e alla poesia il compito di esprimere i sentimenti patriotici. In particolare Mazzini sollecitava all'uso del coro come espressione popolare.

Il Risorgimento ha fatto ricorso, non solo all'opera lirica e al melodramma, ma anche alla canzone popolare, cioè quei componimenti su arie di facili presa diffuse soprattutto tra il popolo.
Alcuni esempi possono essere:






Di questo periodo è "Il canto degli italiani", il nostro inno di Mameli, che però non riscosse il favore della critica in quanto troppo complesso e di non immediata comprensione.




Molto più successo riscosse, invece, "La bella Gigogin", che debuttò ufficialmente il 31 dicembre 1858 nel Teatro Carcano di Milano durante un concerto della Banda Civile. Il testo presenta molte allusioni politiche: Vittorio Emanuele II, erede di Carlo Alberto, è chiamato a fare avanti un passo.



Nelle canzoni risorgimentali la figura di Giuseppe Garibaldi è sicuramente la più presente.







L'"Inno a Giuseppe Garibaldi", o "Canzone italiana" come venne chiamata in origine, fu scritto da Mercantini su sollecito dello stesso Garibaldi che non rimase però soddisfatto del componimento, ritenendolo troppo macabro.



Garibaldi è presente anche in moltissimi ritornelli dialettali come, ad esempio:

Ch'è beddu Caribardu ca mi pari
san Michiluzzo arcancilu daveru
la Sicilia la vinni a libbirari
e vinnicari a chiddi ca mureru
quannu talìa, Gesù Cristu pari
quannu cumanna Carlu Magnu veru.



L'idea di Garibaldi traditore delle masse trova la sua esemplificazione musicale nell'"Inno dei lavoratori siciliani" che utilizza la melodia del "Il canto degli italiani".

Garibaldi sparisce dalle scene musicali durante tutta la Prima guerra mondiale, per ricomparire negli anni '20 con una canzone di Zara I: "Camicia garibaldina".
In epoca più recente troviamo moltissimi richiami a Garibaldi:















Liberamente tratto dall'intervento del professor L. Toccaceli al convegno "Milano da Leggere"

giovedì 24 febbraio 2011

Dante nel Risorgimento

Dante Alighieri irrompe nell'800 a diversi livelli.

Il più scontato è, sicuramente, quello della critica letteraria sulla sua opera maggiore, la "Divina commedia".

Più interessante è invece il rapporto tra la critica letteraria e la figura dell'Alighieri.
Citando solo alcuni dei critici che hanno scritto su dante possiamo parlare, in primo luogo, di Giulio Perticari. Lo scrittore italiano (1779-1822) inizia a costruire un Dante portatore di alti valori morali e virtuosi. Perticari, inoltre, assurge il poeta al ruolo di padre della lingua italiana e modello di letterato.
Il noto poeta Ugo Foscolo (1778-1827); che pochi sanno essere stato anche un critico; dà inizio all'europeizzazione della figura di Dante, sottolineando anche la sua attualità. Mazzini (1805-1872), in seguito, riprenderà questa idea ed esorterà tutti gli italiani a leggere i versi di Dante e non i suoi commenti.
Carlo Cattaneo (1801-1869) si concentra invece, polemizzando con Balbo, sull'immagine fisica di Dante riprendendo l'idea cosmopolita di Foscolo.
La definizione dell'immagine dell'Alighieri, nel Risorgimento, si chiude con De Santis (1856-1859).

Uno stretto rapporto è esistito anche tra Dante e gli scrittori risorgimentali.
In alcune opere come "Ultime lettere a Jacopo Ortis" o "Sepolcri", chiari sono i riferimenti al poeta: Jacopo è un esule come Dante e, come lui, considera la viltà come il peggior crimine. Nei "Sepolcri", invece, viene coniata l'espressione "ghibellin fuggiasco" che, da quel momento, indicherà Dante.

[...] Te beata, gridai, per le felici

aure pregne di vita, e pe’ lavacri

che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!

Lieta dell’ aer tuo veste la Luna

di luce limpidissima i tuoi colli

per vendemmia festanti, e le convalli

popolate di case e d’oliveti

mille di fiori al ciel mandano incensi:

e tu prima, Firenze, udivi il carme

che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,

e tu i cari parenti e l’idïoma

désti a quel dolce di Calliope labbro

che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma

d’ un velo candidissimo adornando,

rendea nel grembo a Venere Celeste;

ma piú beata che in un tempio accolte

serbi l’itale glorie, uniche forse

da che le mal vietate Alpi e l’alterna

onnipotenza delle umane sorti

armi e sostanze t’invadeano ed are

e patria e, tranne la memoria, tutto. [...]


Leopardi, invece, riprende da Dante l'idea di indignazione di fronte al mal costume dilagante.

Rispetto all'immagine che ci viene data dalla letteratura, nelle arti figurative Dante ci appare molto spesso pensoso, in disparte e mai al centro della scena.

W. Blake, Dante all'inferno http://it.wikipedia.org

D. G. Rossetti, Sogno di Dante alla morte di Beatrice http://www.arteestoria.com

A. Scheffer, Le ombre di Paolo e Francesca http://sauvage27.blogspot.com

In Doré vediamo Dante sempre rappresentato o accanto a Virgilio o inginocchiato verso le altre figure presenti.
G. Doré, La Divina Commedia di Dante http://commons.wikimedia.org

G. Doré, La Divina Commedia di Dante http://forum.wowis.org

Un ultimo livello può riguardare il rapporto tra Dante e la musica.
L'esempio più calzante, in quest'ottica, è l'aria del "Nabucco" di Verdi "Va pensiero". In quest'aria T. Solera riprende il lessico dantesco e la figura dell'ebreo che lo stesso Dante aveva tracciato.

Liberamente tratto dall'intervento della professoressa G. Nuvoli al convegno "Milano da Leggere"