Dopo una laurea in Sociologia sono riapprodata alla mia grande passione: il teatro, la danza e le arti espressive in genere.
venerdì 30 marzo 2012
Venerdì del libro: Il mago dei numeri
Castelnuovo Belbo: ottavo incontro
mercoledì 28 marzo 2012
Ancora spinaci: polpette
- spinaci
- 100g di ricotta
- un tuorlo d'uovo
- grana grattugiato
- sale e pepe
- burro
Spinaci alla Romana
- spinaci
- burro o margarina
- pinoli
- uvetta passa
- sale e pepe
martedì 27 marzo 2012
Attività all'aria aperta: Lagoni di Mercurago
lunedì 26 marzo 2012
Castelnuovo Belbo: settimo incontro
venerdì 23 marzo 2012
Via Crucis con meditazioni musicali
- Giona Saporiti (flauto)
- Luisella Bossi (clavicembalo)
- Coro Anemos diretto da Paolo Castagnone
- Giacomo Macchi (organo)
- Gesù nell'orto degli ulivi (Marco 14, 32-36)
- Gesù, tradito da Giuda, è arrestato (Marco 14, 45-46)
- Gesù è condannato dal Sinedrio (Marco 14,55. 60-64)
- Gesù è rinnegato da Pietro (Marco 14, 66-72)
- Gesù è giudicato da Pilato (Marco 15, 14-15)
- Gesù è flagellato e coronato di spine (Marco 15, 17-19)
- Gesù è caricato della croce (Marco 15, 20)
Prima parte - Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la croce (Marco 15, 21)
Seconda parte - Gesù incontra le donne di Gerusalemme (Luca 23, 27-28)
- Gesù è crocifisso (Marco 15, 24)
- Gesù promette il suo regno al buon ladrone (Luca 23, 39-43)
Prime due strofe - Gesù in croce, la madre e il discepolo (Giovanni 19, 26-27)
Terza strofa e Amen - Gesù muore sulla croce (Marco 15, 33-39)
- Gesù è deposto nel sepolcro (Marco 15, 40-46)
- Conclusione
Venerdì del libro: Beatrix Potter
giovedì 22 marzo 2012
Giornata mondiale dell'acqua
mercoledì 21 marzo 2012
Benvenuta Primavera
come tarda a venire la sera.
L'hanno vista ferma in un prato
dove il verde è rispuntato,
un profumo di viole in fiore
l'ha trattenuta un paio d'ore,
ha perso tempo lungo la via
presso un cespuglio di gaggia,
due bimbi con un tamburo di latta
hanno incantato la sera distratta.
Adesso è tardi, lo so bene:
ma però la sera non viene
Demetra, la dea del grano , protettrice dei raccolti, viveva in Sicilia, insieme alla bellissima figlia Persefone. In quei luoghi la fanciulla viveva serena: correva nei verdi campi, amava tuffarsi in mare e raccogliere i fiori per farne belle ghirlande.
Un brutto giorno però un dio si innamorò di Persefone. Non era un dio come gli altri : era Ade, il dio del regno dei morti. Ade era un giovane tenebroso e, per la sua bruttezza, nessuna donna ,né ninfa né dea lo aveva mai voluto in sposo.
Ade non faceva altro che pensare alla sorridente fanciulla e così, dopo aver preso il suo cocchio trainato da quattro cavalli neri, emerse dagli Inferi e , senza curarsi dello spavento e delle grida di Persefone, la rapì per condurla con sé. Persefone, addolorata per aver lasciato la Terra e la madre, decise di non toccare più cibo.
La madre Demetra per giorni e giorni si mise disperatamente sulle tracce della figlia che sembrava sparita nel nulla, fino a quando Elio, il dio del Sole, che vede tutto, decise di dirle la verità : “ Tua figlia è divenuta la sposa di un dio importante, il suo regno è immenso, tutti temono e rispettano Ade …non devi disperarti per lei!”.
Ma Demetra non riusciva ad accettare il fatto di non potere rivedere più la figlia e, soprattutto, di saperla in un luogo tanto triste, sempre avvolto dalle tenebre.
Il suo dolore le fece dimenticare i suoi doveri di dea, anzi la sua rabbia provocò siccità, pestilenze, distrusse i raccolti …in breve tempo la Terra non sembrava più la stessa : era diventata una distesa arida e inospitale.
Zeus, il padre degli dei, pensò che fosse necessario mettere fine ad un tale disastro e andò a parlare con Ade. Gli accordi furono questi : se Persefone (fino a quel momento) aveva mangiato qualcosa nel Regno dei morti non sarebbe più potuta tornare sulla Terra , se invece non aveva toccato cibo sarebbe stata riconsegnata alla madre.
La madre accettò il patto e si recò all’ingresso dell’Oltretomba, dove Ade e Persefone l’aspettavano.
Appena la vide Demetra abbracciò la figlia e le chiese se aveva mangiato qualcosa. Persefone, mentendo, disse di non aver toccato cibo, ma uno dei giardinieri di Ade gli si avvicinò dicendo:
“ La tua sposa sta mentendo: io stesso l’ho vista mangiare alcuni chicchi di una melagrana”. La fanciulla, in lacrime, ammise di averne mangiati quattro o forse sette chicchi, attratta dal bellissimo colore del frutto.
Zeus prese una decisione , accettata alla fine sia da Demetra che da Ade: Persefone avrebbe vissuto con il marito per alcuni mesi dell’anno nell’Oltretomba, durante gli altri mesi avrebbe soggiornato con la madre sulla Terra!
Proprio per questo, secondo i Greci, esistono la bella stagione e quella cattiva :
in Primavera e in Estate Demetra riempie di doni gli uomini perché è felice di trascorrere il suo tempo con l’amata figlia…in Autunno e in Inverno, invece, Demetra è triste perché Persefone deve tornare da Ade, come stabilito da Zeus, e le sue lacrime e i suoi sospiri invadono la terra, portando vento e gelo.
martedì 20 marzo 2012
Castelnuovo Belbo: sesto incontro
venerdì 16 marzo 2012
Venerdì del libro: Marcovaldo ovvero le stagioni in città
Funghi in città
II vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d’altre terre.
Un giorno, sulla striscia d’aiola d’un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi. Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lì prendeva ogni mattina il tram.
Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse ad una tegola, non gli sfuggivano mai: non c’era tafano sul dorso d’un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza.
Così un mattino, aspettando il tram che lo portava alla ditta Sbav dov’era uomo di fatica, notò qualcosa d’insolito presso la fermata, nella striscia di terra sterile e incrostata che segue l’alberatura del viale: in certi punti, al ceppo degli alberi, sembrava si gonfiassero bernoccoli che qua e là s’aprivano e lasciavano affiorare tondeggianti corpi sotterranei.
Si chinò a legarsi le scarpe e guardò meglio: erano funghi, veri funghi, che stavano spuntando proprio nel cuore della città! A Marcovaldo parve che il mondo grigio e misero che lo circondava diventasse tutt’a un tratto generoso di ricchezze nascoste, e che dalla vita ci si potesse ancora aspettare qualcosa, oltre la paga oraria del salario contrattuale, la contingenza, gli assegni familiari e il caropane.
Al lavoro fu distratto più del solito; pensava che mentre lui era lì a scaricare pacchi e casse, nel buio della terra i funghi silenziosi, lenti, conosciuti solo da lui, maturavano la polpa porosa, assimilavano succhi sotterranei, rompevano la crosta delle zolle. « Basterebbe una notte di pioggia, - si disse, - e già sarebbero da cogliere». E non vedeva l’ora di mettere a parte della scoperta sua moglie e i sei figlioli.
- Ecco quel che vi dico! - annunciò durante il magro desinare. - Entro la settimana mangeremo funghi! Una bella frittura! V’assicuro! - E ai bambini più piccoli, che non sapevano cosa i funghi fossero, spiegò con trasporto la bellezza delle loro molte specie, la delicatezza del loro sapore, e come si doveva cucinarli; e trascinò così nella discussione anche sua moglie Domitilla, che s’era mostrata fino a quel momento piuttosto incredula e distratta.
- E dove sono questi funghi? - domandarono i bambini. - Dicci dove crescono! -
A quella domanda l’entusiasmo di Marcovaldo fu frenato da un ragionamento sospettoso: “Ecco che io gli spiego il posto, loro vanno a cercarli con una delle solite bande di monelli, si sparge la voce nel quartiere, e i funghi finiscono nelle casseruole altrui!” Così, quella scoperta che subito gli aveva riempito il cuore d’amore universale, ora gli metteva la smania del possesso, lo circondava di timore geloso e diffidente.
- Il posto dei funghi lo so io e io solo, - disse ai figli, - e guai a voi se vi lasciate sfuggire una parola.
Il mattino dopo, Marcovaldo, avvicinandosi alla fermata del tram, era pieno d’apprensione. Si chinò sull’aiola e con sollievo vide i funghi un po’ cresciuti ma non molto, ancora nascosti quasi del tutto dalla terra.
Era così chinato, quando s’accorse d’aver qualcuno alle spalle. S’alzò di scatto e cercò di darsi un’aria indifferente. C’era uno spazzino che lo stava guardando, appoggiato alla sua scopa.
Questo spazzino, nella cui giurisdizione si trovavano i funghi, era un giovane occhialuto e spilungone. Si chiamava Amadigi, e a Marcovaldo era antipatico da tempo, forse per via di quegli occhiali che scrutavano l’asfalto delle strade in cerca di ogni traccia naturale da cancellare a colpi di scopa.
Era sabato; e Marcovaldo passò la mezza giornata libera girando con aria distratta nei pressi dell’aiolà, tenendo d’occhio di lontano lo spazzino e i funghi, e facendo il conto di quanto tempo ci voleva a farli crescere.
La notte piovve: come i contadini dopo mesi di siccità si svegliano e balzano di gioia al rumore delle prime gocce, così Marcovaldo, unico in tutta la città, si levò a sedere nel letto, chiamò i familiari. “È la pioggia, è la pioggia”, e respirò l’odore di polvere bagnata e muffa fresca che veniva di fuori.
All’alba - era domenica -, coi bambini, con un cesto preso in prestito, corse subito all’aiolà. I funghi c’erano, ritti sui loro gambi, coi cappucci alti sulla terra ancora zuppa d’acqua. - Evviva! - e si buttarono a raccoglierli.
- Babbo! guarda quel signore lì quanti ne ha presi! - disse Michelino, e il padre alzando il capo vide, in piedi accanto a loro, Amadigi anche lui con un cesto pieno di funghi sotto il braccio.
- Ah, li raccogliete anche voi? - fece lo spazzino. - Allora sono buoni da mangiare? Io ne ho presi un po’ ma non sapevo se fidarmi… Più in là nel corso ce n’è nati di più grossi ancora… Bene, adesso che lo so, avverto i miei parenti che sono là a discutere se conviene raccoglierli o lasciarli… - e s’allontanò di gran passo.
Marcovaldo restò senza parola: funghi ancora più grossi, di cui lui non s’era accorto, un raccolto mai sperato, che gli veniva portato via così, di sotto il naso. Restò un momento quasi impietrito dall’ira, daila rabbia, poi - come talora avviene - il tracollo di quelie passioni individuali si trasformò in uno slancio generoso. A quell’ora, molta gente stava aspettando il tram, con l’ombrello appeso al braccio, perché il tempo restava umido e incerto. - Ehi, voialtri! Volete farvi un fritto di funghi questa sera? - gridò Marcovaldo alla gente assiepata alla fermata. - Sono cresciuti i funghi qui nel corso! Venite con me! Ce n’è per tutti! - e si mise alle calcagna di Amadigi, seguito da un codazzo di persone.
Trovarono ancora funghi per tutti e, in mancanza di cesti, li misero negli ombrelli aperti. Qualcuno disse: - Sarebbe bello fare un pranzo tutti insieme! - Invece ognuno prese i suoi funghi e andò a casa propria.
Ma si rividero presto, anzi la stessa sera, nella medesima corsia dell’ospedale, dopo la lavatura gastrica che li aveva tutti salvati dall’avvelenamento: non grave, perché la quantità di funghi mangiati da ciascuno era assai poca.
Marcovaldo e Amadigi avevano i letti vicini e si guardavano in cagnesco.
giovedì 15 marzo 2012
Attività all'aria aperta: Canale Villoresi e Diga di Panperduto
martedì 13 marzo 2012
Attività all'aria aperta: Tredicino di Arona
lunedì 12 marzo 2012
Castelnuovo Belbo: quinto incontro
Attività all'aria aperta: Carvè veg
- sacchetti del pane;
- coriandoli, stelle filanti e/o farina;
- spago sottile;
- sorpresine (noi abbiamo utilizzato caramelle e dolcetti);
- corda;
- bastoni.