giovedì 9 giugno 2011

Merce Cunningham

Merce Cunningham è stato il primo danzatore a lanciare la sua sfida alle convenzioni della generazione dei fondatori della "modern dance". Nel 1939, all'età di ventiquattro anni, fu invitato ad entrare nella compagnia di Martha Graham, dove rimase fino al 1945 circa, interpretando spesso ruoli di protagonista nei più importanti lavori della coreografa.


Merce Cunningham nella parte del Revivalista

Ma quando si staccò dal gruppo per formare una propria compagnia iniziò a condurre delle sperimentazioni sul movimento che dimostravano un'assoluta indipendenza d'impostazione nell'approccio alla danza rispetto alla Graham. A partire dagli anni Cinquanta, infatti, la sua tendenza appariva già decisamente in contrasto con i metodi di lavoro della sua insegnante; ciò che lo interessavano non erano il contenuto drammatico, la vicenda, la caratterizzazione dei personaggi, bensì semplicemente il movimento puro e le possibilità a esso inerenti.
Fondamentale è la sua collaborazione con il musicista John Cage, compositore di musica contemporanea con cui ha lavorato in coppia fin dall'inizio della sua carriera indipendente. Essi condividono l'idea che musica e danza siano due entità separate piuttosto che due elementi interdipendenti nella coreografia. Le loro rappresentazioni create in comune hanno sempre sconcertato un pubblico abituato a vedere nella danza un'interpretazione o una visualizzazione della musica o, viceversa, nella musica il supporto ritmico indispensabile per il movimento: in tutti i modi, quale che sia l'elemento predominante a seconda dei casi, si è sempre pensato che le due forme espressive siano inestricabilmente legate nella creazione di spettacoli di danza. Nei lavori comuni di Cunningham e Cage, invece, i due artisti, più che essere interdipendenti, tendono a completarsi reciprocamente, mantenendo l'autonomia compositiva.
La musica di John Cage può essere composta tramite complesse macchine elettroniche così come con l'uso dei più svariati rumori: l'acqua che gocciola sul metallo, il trillo di una sveglia, il suono di campanacci o addirittura l'effetto sonoro prodotto da Cage stesso che sorseggia acqua da una cannuccia stando di fronte a un altoparlante. Il musicista si affida esplicitamente al caso in quanto, come egli afferma, "qualsiasi cosa facciamo è musica".



Anche Merce Cunningham ama la causalità, il suo potere di creare situazioni che trascendono la volontà individuale dell'artista che compone. Tuttavia il suo amore per l'imprevedibile è stato spesso male interpretato: le coreografie di Cunningham sottendono una preparazione tecnica notevolissima e sequenze di movimenti strutturate in partenza. Una volta determinate le sequenze, pare che egli scelga casualmente, a seconda del momento, la loro successione effettiva; oppure, ancora, nel suo metodo di lavoro è compresa la casualità nel senso che egli crea composizioni le cui sequenze possono essere eseguite in una successione qualsiasi.
Questa volontà di affidarsi al caso rappresenta una sorta di appello all'inconscio, al di là di ogni condizionamento sociale e culturale. La mente dell'artista subisce sempre gli influssi esterni delle abitudini, e Cunningham vuole evitare questo pericolo tramite la non programmazione.
Nel 1964 Merce Cunningham fece un giro del mondo che cominciò in Europa e si concluse in India. Il suo approccio con l'Oriente fu fondamentale per la sua maturazione verso l'anti-individualismo estremo: ammiratore entusiasta della filosofia indiana nonché buddista dichiarato, ritrova nel mondo orientale la conferma spiritualistica del rifiuto di quel culto della personalità che caratterizza per molti versi l'impostazione culturale dell'uomo occidentale.



In "Varietions V" (1965) l'estro di Cunningham e dei suoi collaboratori produce il più complesso intreccio di elementi: qui la danza si sviluppa intorno a cinque poli elettromagnetici, e l'intera azione scenica viene messa in moto dai movimenti dei danzatori stessi. Quando essi entrano nel raggio d'azione delle cellule fotoelettriche vengono automaticamente prodotti suoni elettronici, mentre lo sfondo è animato dalla proiezione di film e diapositive.
Nelle danze di Cunningham gli elementi convivono, intrecciandosi nello spazio e nel tempo. Chi assiste a uno spettacolo del genere non si concentra su qualcosa di predeterminato da chi lo ha allestito, come accade di solito, ma ogni spettatore si trova a dover scegliere cosa guardare e sentire, poiché tutto ha la sua importanza, tutto può interessate. Cambia la prospettiva tradizionale, gli elementi vanno per conto loro: il risultato è di un'indeterminatezza sconcertante e affascinante al tempo stesso.
La natura dello spazio viene mutata radicalmente: esso non è più diviso e strutturato in partenza dal creatore della coreografia, ma costituisce veramente una materia che può essere affrontata da un'infinità di punti di vista. L'occhio è stimolato a errare sulla scena, senza essere attirato da un punto specifico favorito rispetto a tutti gli altri.
Per quanto riguarda lo stile di movimento, Cunningham fa uso a suo modo sia della tecnica del balletto che di quella moderna. Quello che lo interessa, infatti, non è la significatività del movimento, ciò che intimamente esso rappresenta, bensì la ricerca delle possibilità inerenti al movimento puro, inteso come entità autonoma, senza alcuna preoccupazione contenutistica.



La ricerca sperimentale sul movimento, che ancor oggi viene condotta attivamente nel "Cunningham Dance Studio", ricerca e sviluppa il gesto in tutte le sue possibili dimensioni d'esistenza, considerandone sempre la realtà autonoma. Il senso di questa ricerca non è la volontà di ottenere un risultato emotivo, drammatico, introspettivo: viceversa, si tende a una danza dinamica e imprevedibile, che trova da sé, nel suo stesso svolgimento, il proprio significato, e non in finalità interioristico-espressive: siamo all'estremo opposto rispetto a Martha Graham.
Proprio per questo Cunningham è stato accusato di eccessiva astrazione e di "disumanizzazione": i suoi critici sostengono infatti che, separando il gesto dalle motivazioni interiori, egli finisce per fare dell'"anti-danza". In realtà sarebbe molto più esatto parlare di "anti-danza moderna", visto che nel balletto classico la tecnica di preparazione fisica prescinde da qualsiasi esigenza contenutistica, e non per questo tale forma, che resta la più diffusa nel mondo occidentale, non viene considerata danza.



Da: "La danza moderna" di L. Bentivoglio, Longanesi & C. edizioni

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