giovedì 31 marzo 2011

Quelle storie nate in carrozza

Pur senza incarnare un archetipo, il treno ha ispirato narratori e poeti a cominciare da Agatha Christie

Forse l'opera letteraria più famosa sul treno è "Assassinio sull'Orient Express", un romanzo di Agatha Christie, da cui fu tratto un film felice e fortunato che continuiamo a rivedere in televisione e ad acquistare anche in edicola. Il giallo della Christie, pubblicato nel 1934 (un anno dopo usciva in Italia da Mondadori), è uno dei più famosi con protagonista il detective Hercule Poirot, un personaggio entrato nella leggenda. Un delitto a bordo del treno che porta in Oriente, un imprevisto climatico, una bufera di neve che blocca per lunghissimo tempo il convoglio, complicando i piani dell'omicida, un caso complesso che alla fine Poirot, con la sua logica scintillante e barocca, risolverà. La tempesta di neve che blocca il treno creando una situazione innaturale a bordo, tramutandolo in un lussuoso ma non richiesto albergo, può essere paragonata alla bonaccia che paralizza la nave in mare, dilatando il presente, interrompendo il fluire naturale del tempo.


Certo se paragoniamo il più famoso romanzo ispirato a un treno a quelli che parlano della nave, da Melville con "Moby-Dick" a Stevenson, a Conrad, il confronto è spietato. Agatha Christie è un'ottima scrittrice, maestra nel suo genere, ma gli altri sono giganti, peraltro discendenti di Omero, l'autore del viaggio di Ulisse. E' evidente che il confronto sarebbe ingenuo in partenza. La nave in primo luogo esiste da sempre, inoltre non è solo una realtà tecnica, un mezzo di trasporto, ma un archetipo e in quanto tale opera nella letteratura e nella poesia. Dalle feluche fenicie di Ulisse, l'uomo all'origine si confronta che le acque, sacre, che dividono le terre. L'Arca di Noè, le imbarcazioni con cui l'uomo si avventura verso terre ignote, sono la realtà e il simbolo della nostra vicenda sul globo. L'invenzione della ruota fu fondamentale nella storia della tecnologia, ma non produsse mito.
Non può stupire quindi che la carrozza e, in seguito, il treno non abbiano generato una mitologia. Semmai, mentre celebrava il mezzo che lo portava a solcare le acque, il poeta sognava il volo, da Icaro con le sue ali fissate con la cera, a Fetonte, figlio del Sole, che precipita guidando il suo carro, ai sogni di macchine volanti di Leonardo, all'aeroplano, alla navicella spaziale che ci consentirà di atterrare sulla terra.


Il treno non è l'incarnazione di un archetipo, come la barca o l'aeroplano, ma un prodotto dell'evoluzione della ruota. Un mezzo di trasporto fondamentale e umile. Il treno viaggia su una strada ferma. Il percorso e la meta sono stabiliti, solo un incidente può cambiare il corso del viaggio.
Non a caso Agatha Christie ambienta la sua vera storia su un treno dal nome meritevolmente favoloso ed esotico, che porta a oriente, come favolosa ed esotica è la famosa Transiberiana, che si spinge in una terra fredda ed estrema. Sono due treni dotati di potente carica simbolica, conducono in mondi remoti.
Ma il treno comunque è presente in tante opere narrative e in molte poesie, senza assurgere a ruolo di protagonista. Forse il più importante racconto di viaggio in vagone ferroviario è quello di Robert Louis Stevenson, sommo scrittore di mare, in "Emigrante per diletto".
Il libro è il diario di un viaggio in America del giovane scrittore, su una nave per emigranti e quindi, dopo l'approdo a New York, su una serie di treni sempre popolati di emigranti, gente proveniente dall'Europa in cerca di lavoro, a differenza del giovane scrittore che si recava nel Novo Mondo per incontrare la donna di cui si era innamorato e che diverrà sua moglie. [...]
L'Orient Express, la Transiberiana, o i poveri treni per emigranti che però attraversano un continente vasto e sconosciuto: il treno per generare immaginazione a bisogno di ampie distese, di spazi inesplorati. Allora diventa una nave.


Più lesto delle fate, più svelto delle streghe,
rapido come gli Stivali delle Sette Leghe,
oltre le mucche e i cavalli distesi nei prati,
furioso come un assalto di soldati
tutto lascia alle spalle, tutto scompare,
come pioggia scrosciante dentro il mare.
E in un batter d'occhio stazioni dipinte,
un fischio, e scompaiono dietro le quinte.

Ecco un bambino che si sta arrampicando,
dei rovi, e il treno procede gridando,
un vagabondo sta fermo a guardare
e tanto verde che pare abbagliare!
Poi ecco un carro lontano filare
col carrettiere che lo deve guidare.
E poi un fiume, un ponte, un mulino:
un lampo e sono persi, con il pino.
(Da un vagone ferroviario di R. Louis Stevenson)


Da: Luoghi dell'infinito, Settembre 2010

mercoledì 30 marzo 2011

Lo spazio nella propedeutica della danza

Il bambino impara a suddividere lo spazio della sala di danza in munti, numeri e linee.


In principio, immagina la stanza in cui si svolge la lezione come una "scatola" attraversata da linee diverse - rette e diagonali - linee originate sa numeri su punti precisi, da occupare e da percorrere muovendosi in avanti e indietro, in alto e in passo, di lato e in diagonale.
Il sistema convenzionale della successione dei punti della sala prevede una numerazione progressiva - da 1 a 8 - delle pareti e degli angoli dello spazio a partire dal lato frontale, chiamato "en face", e proseguendo in senso orario.
Il medesimo sistema - in relazione al movimento o all'esercizio - vale per ciascun bambino disposto in punti diversi della sala.
In quest'ottica il corpo diviene strumento per scoprire il mondo e accedervi; stimoli, informazioni e indicazioni vengono rielaborati attraverso lo schema motorio per giungere a percepire lo spazio, esplorandolo nelle diverse direzioni attraverso gli oggetti e le persone, riproducendolo con forme geometriche, acquisendo nozioni relative all'orientamento. Proprio nella formazione propedeutica, il bambino si costruisce un modello posturale che è in continua evoluzione: impara ce il primo stazio che abita è il sé e comincia a distinguerlo dal non sé.
Il corpo diviene, dunque, il tramite per collegare la realtà interna con quella esterna cosicché, per effetto del movimento, l'immagine dello schema corporeo evolve e si modifica ponendo l'individuo in relazione con la forma (corpo) e atteggiamento psichico (volontà).
Il bambino, perciò, agisce nello spazio con il suo mondo interiore, deve essere pronto a trasformare l'area in cui si muove o a lasciarsi trasformare da essa.
Nella propedeutica della danza, lo spazio svolge un ruolo primario e gli esercizi in funzione dello spazio stimolano il campo visivo in un rapporto di reciprocità. [...]
Lo spazio è l'oggetto di percezione diretta del bambino in funzione dell'azione e agisce su tre livelli: valutazione delle direzioni, valutazione delle distanze e localizzazione di oggetti e di persone in movimento.
Se, inizialmente, il centro di riferimento per il bambino è il proprio corpo e tutto è organizzato partendo dal corpo, in un secondo tempo il bambino può scegliere altri riferimenti, altre persone e oggetti per centrare il suo spazio d'azione.
Questo passaggio è indicativo di un cambiamento notevole che interviene nella vita psichica del bambino che, gradualmente, abbandona l'egocentrismo intellettuale e si avvicina ad un pensiero adeguato agli altri e al reale. Nello stesso tempo egli ha anche acquisito un orientamento in rapporto all'oggetto e alle situazioni e le può rappresentare simbolicamente.
La conoscenza delle situazioni in rapporto agli oggetti e alle persone che lo circondano, si traduce come una disposizione dell'individuo a visualizzare una configurazione nella quale vi sia un movimento o uno spostamento delle parti della configurazione; di conseguenza il bambino sarà in grado di percepire un ostacolo, guidare un veicolo, percepire un oggetto in movimento etc...
La corretta individuazione di questi rapporti, permette di avere gesti più precisi, più rapidi e organizzati muovendosi nello spazio secondo differenti assi d'orientamento, valutando
distanza e velocità, distinguendo e alternando l'occupazione di superficie (del gruppo) e l'occupazione di linee (lo spazio).
La comprensione dello spazio d'azione in questi termini risulta fondamentale al movimento del corpo nella danza rispetto a uno o più fonti di rappresentazione.


Da: Propedeutica della Danza di E. Ceron

Denishawn School

La prima vera e propria scuola di danza moderna, organizzata e strutturata in base a un metodo d'insegnamento con un suo valore formativo sostanziale, fu la "Denishawn", l'istituzione che preparò i grandi creatori della "modern dance" americana: Martha Graham, Doris Humphrey, Charles Weidman. La scuola, fondata da Ruth St. Denis e Ted Shawn, fu la fortunata combinazione di due personalità artistiche diverse e complementari, che riversarono in quest'unica istituzione la rispettiva energia creativa, dando origine, tramite la loro unione, a una struttura autonoma, cioè a qualcosa di ben diverso dai suoi fondatori.
L'incontro tra i due danzatori risale al 1914, quando entrambi avevano alle spalle alcuni anni di originalissime esperienze artistiche. A quel tempo la St. Denis era una danzatrice che aveva già fatto parlare molto di sé.


La prima rappresentazione di "Radha", la danza che Ruth St. Denis volle sempre considerare il proprio capolavoro, si svolse a New York nel 1906. In "Radha" essa si presentava a piedi scalzi, ornata solo di qualche gioiello di rame sul corpo nudo, avvolta nel fumo dell'incenso, severa e immobile come la statua di bronzo della divinità indiana; di fronte a lei i fedeli si prosternavano nel rituale dell'adorazione. [...]
Il pubblico rimase concertato, la stampa commentò con titoli sensazionali lo spettacolo di questa "hindu del New Jersey", e sottolineò la sensualità irresistibile di colei che venne addirittura definita come la creatrice di un nuovo culto. Lo scalpore non fu inferiore a quello che qualche anno prima avevano suscitato le tuniche di velo indossate da Isadora. [...]
La St. Denis cerca sempre nella danza l'espressione di un significato essenzialmente religioso: ma il cristianesimo dualistico della cultura occidentale non soddisfa le sue esigenze artistiche, non potendo rappresentare, nella sua estrema decadenza, il simbolico obbiettivo finale della sua ricerca, vale a dire un uomo totale, che abbia, come lei stessa afferma, "una concezione più nobile di se stesso". Per questi motivi essa volge lo sguardo verso l'Oriente, verso quella filosofia hindu che, nella sua prospettiva, incarna l'espressione più alta dell'essere intero, come fusione di corpo e spirito, come compenetrazione di arte e religione: questo, secondo lei, deve essere il senso della danza. [...]
Ciò che resta come il contributo fondamentale di Ruth St. Denis è l'aver, per così dire, aperto alla danza occidentale le porte dell'Oriente, sia facendo uso dei profondi temi religiosi propri di una civiltà diversa dalla nostra, sia studiandone e mettendone in pratica le raffinatissime tecniche corporali, che offrivano alla danza un mondo di nuove possibilità per la ricerca e l'elaborazione di nuovi moduli gestuali.


L'incontro con Ted Shawn avvenne nel 1914 e i due danzatori decisero di sposarsi in brevissimo tempo, poche mesi dopo essersi conosciuti. Dalla loro unione artistica nacquero le "Denishawn Schools", le quali costituirono la prima vera e propria struttura didattica autonoma di danza moderna, e la "Denshawn Dancers Company", che, fino al 1931, anno in cui avvenne la separazione artistica dei suoi due fondatori, fu una compagnia attivissima in tutto il mondo. La prima scuola di Denishawn fu aperta a Los Angeles nel 1915 e vi studiarono, fra gli altri, Martha Graham, Doris Humphrey e Charles Weidman, che in pochi anni entrarono a far parte della compagnia.


Edwin Myers (Ted) Shawn giunse alla danza dopo aver abbandonato la teologia; aveva infatti compiuto alcuni anni di studio per divenire predicatore evangelista quando si rese conto, come egli stesso scrive nella sua autobiografia (One Thousand and One Night Stands), che il suo unico vero pulpito poteva essere il teatro. Era convinto che la danza potesse essere uno degli strumenti artistici più efficaci per riflettere i grandi valori dell'uomo e il tema essenziale della ricerca umana del divino, e per questo affermava che "chi conosce il potere della danza conosce il potere di Dio". Deluso dalla tecnica accademica del balletto classico, che non rispondeva alle sue esigenze di danza totale, cercava la completezza di un nuovo modo di danzare che fosse contemporaneamente espressione di ricerca intellettuale, di impulsi sessuali e di comunicazione con gli altri tramite il movimento. Aspirava cioè alla costituzione dell'unità dell'uomo, perseguibile, nella sua prospettiva, soltanto attraverso il ritmo: "La danza così concepita", affermava, "è insieme morale e religione perché è l'espressione più alta dell'essere intero nella sua responsabilità nei confronti degli altri: più via abbiamo, più possiamo comunicare agli altri".
Convinto che la tecnica del balletto occidentale non fosse in grado da sola di riflettere all'esterno i grandi temi umani verso i quali tendeva la sua ricerca, Ted Shawn si applicò con entusiasmo allo studio delle danze etniche, che in futuro sarebbero state incluse nel repertorio di Danishawn. Credeva fermamente che compito del danzatore fosse l'evoluzione delle proprie categorie motorie tenendo fermo, come punto di partenza per tale evoluzione individuale, l'uso delle più svariate forme e tecniche di danza di tutto il mondo, che offrivano una gamma vastissima di possibilità da sviluppare. In questa prospettiva studiò la danza primitiva, orientale e spagnola, e lavorò sulle forme etniche della danza cercando di trasformarle secondo la propria personalità espressiva. Il suo contributo al sistema didattico di Denishawn fu fondamentale: tramite Shawn, infatti, il vocabolario dei movimenti fu arricchito dall'apporto di moduli di danza popolare e di danza primitiva. Shawn vi inserì, inoltre, una propria versione liberamente adattata del balletto che, a suo parere, se usato come tecnica di preparazione fisica, poteva contribuire a fortificare ed elasticizzare il corpo.


Obbiettivo fondamentale della sua ricerca fu inoltre lo sviluppo della danza maschile. Sentendo fortemente l'esigenza di restituire alla sua arte quella forza virile che aveva scoperto come componente essenziale della danze popolari e primitive (una componente che, nella fase di decadenza del balletto, si era totalmente spenta per far posto a una fatua leziosità falsamente femminile), Ted Shawn si applicò allo studio storico delle differenze tra movimenti maschili e femminili, elaborando tutta una sua concezione sulle caratteristiche peculiari ai due tipi di movimento. In base a tale concezione restituì al danzatore una sua funzione espressiva autonoma, non limitandone più le capacitò al banale ruolo di supporto secondario della ballerina. Dopo la sua separazione dalla St. Denis, creò una compagnia di soli danzatori uomini. Volle poi lavorare in particolare sulla formazione della gestualità più consona allo spirito dell'uomo americano, elaborando sistematicamente una teoria di movimento a uso degli atleti.
Ma il contributo più importante di Ted Shawn alla creazione della danza moderna fu senza dubbio il suo studio delle leggi regolanti i movimenti in base agli impulsi emozionali fondamentali. Le teorie sulla mimica di François Delsarte (1811-1871) costituirono il suo costante punto di riferimento per tale studio, ed è sempre al teorico francese che Shawn attribuisce nei suoi scritti la funzione di vero e unico maestro e ispiratore del proprio lavoro. In "Every Little Movement" il danzatore espone con intelligenza le teorie di Delsarte, il quale non aveva mai pubblicato direttamente i suoi studi sul movimento. [...]
Ted Shawn fu il primo danzatore a comprendere in pieno l'importanza del delsartismo; il sistema didattico che mise in atto nelle scuole di Denishawn si basava interamente sulle leggi del teorico francese. Gli esercizi elaborati da Shawn rappresentavano un tentativo costante di applicazione di regole quali il principio dell'espressività come sola possibile essenza del gesto, o la legge motoria basata sulla considerazione del torace come fondamentale parte motrice del corpo.
Si è visto come Ruth St. Denis contribuisse al sistema Denishawn tramite l'apporto della sua vasta conoscenza sulle danze orientali e sullo sviluppo delle fasi religiose nella danza.
Quest'insieme diede luogo a una struttura straordinaria, di importanza fondamentale per gli sviluppi successivi: infatti, seppur spesso nell'entusiasmo della ricerca si finisse per eccedere in un eclettismo che rasentava la confusione, Denishawn rappresentò storicamente un vero e proprio fulcro di idee originali, in quanto mise a disposizione dei futuri grandi danzatori una gamma vastissima di spunti nuovi, materiale ricco di implicazione che avrebbero potuto essere fecondamente sviluppare.


Da: La danza moderna di L. Bentivoglio

martedì 29 marzo 2011

Giochi ed attività musicali

Le sperimentazioni corporee e musicali possono riguardare l'energia, lo spezio, il tempo e il timbro.

L'energia si vive nella contrapposizione forte/piano e si può associare alla categoria dell'intensità ma anche nel suo flusso, nella linearità dei suoni legati e nelle linee spezzate dei suoni staccati.

Il tempo si vive attraverso la percezione del contrasto suono/silenzio, suono lungo/suono corto, suoni veloci/suoni lenti e si può associare alla categoria della durata.

Lo spazio si vive come spazio tonale e in questa connotazione si può associare alla categoria dell'altezza, ma anche nella linearità dei suoni legati e nelle linee spezzate dei suoni staccati.

Il timbro, che dipende dallo strumento che utilizziamo e da come suoniamo questo strumento, si vive come differenza di carattere, di colore, di "forma" del suono: possiamo avere ad esempio due suoni di uguale altezza, intensità e durata, ma con timbro diverso.

In particolare le aree che possono essere coinvolte in un percorso musicale sono:
  • lo sviluppo motorio;
  • l'esplorazione dello spazio;
  • l'esplorazione del tempo;
  • la conoscenza delle tradizioni popolari.

Da: Suoni e musiche per i piccoli di E. Maule e S. Azzolin

domenica 27 marzo 2011

La rosa bianca

Volti di un'amicizia

Nell'estate del 1941 e nel febbraio del 1943 alcuni studenti della facoltà di medicina di Monaco di Baviera distribuiscono volantini firmati "Rosa bianca" che incitano alla resistenza contro Hitler e chiedono libertà per il popolo tedesco.
[...] La "Rosa bianca" non è innanzi tutto un gruppo di resistenza, quanto piuttosto un gruppo di persone unite da una profonda amicizia: Alexander Schmorell, Sophie Scholl, Hans Scholl, Willi Graf, Kurt Huber, Christoph Probst, Traute Lafrenz e altri.


"Del gruppo che qui ho messo assieme avrei già sentito parlare. Gioiresti di questi volti, se tu li potessi vedere. L'energia che uno dedica a quei rapporti rifluisce tutta intera nel proprio cuore", scrive Hans Scholl.


La storia di questa amicizia, oltre ad aver dato origine ad una mostra che si è svolta a Milano nel 2006, ha ispirato un film uscito in Italia nel 2005 con il titolo "La rosa bianca - Sophie Scholl".
Questo film si concentra, come si capisce dal titolo, sulla figura di Sophie. Sophie Scholl, terza figlia di Robert e Magdalena Scholl, nasce il 9 maggio del 1921 a Forchtenberg, una cittadina a nord-est di Stoccarda. Nel febbraio del 1943, due giorni prima del suo arresto, Sophie descrive al fidanzato Fritz Hartnagel il profondo senso di sicurezza di cui ha sempre fatto esperienza nella propria famiglia:

Queste giornate [a casa], benché non riesca a fare molto di ciò che in realtà dovrei fare, mi fanno sempre molto bene, non fosse altro perché il mio papà è sempre molto contento quando arrivo e si meraviglia quando me ne parto, e perché la mia mamma si prende cura di me in tutto e per tutto. Questo amore, che è così gratuito, è per me qualcosa di meraviglioso. Lo percepisco come una delle cose più belle che il destino ha tenuto in serbo per me. [...] Mi sento al sicuro solo laddove mi accorgo che c'è un amore assolutamente disinteressato.
(Lettera del 16 febbraio 1943)

Sophie Scholl (9 maggio 1921 - 22 febbraio 1943)


Da: "La Rosa bianca - Volti di un'amicizia" edizioni Itaca

venerdì 25 marzo 2011

Rudolf von Laban

In Germania era sorta, negli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, una nuova corrente di danza, frutto della fortunata combinazione di due personalità innovatrici, l'una sotto il profilo teorico, l'altra sotto quello più propriamente espressivo. Si tratta di Rudolf von Laban, il creatore di una nuova logica del movimento, e di colei che uscì dal suo insegnamento, Mary Wigman, la maggiore esponente della danza moderna tedesca.

Nato a Bratislava nel 1879, Rudolf von Laban fondava nel 1911 a Monaco di Baviera la sua Scuola di Danza Libera del Centro Europa; i suoi più noti discepoli, nonché futuri collaboratori, furono Mary Wigman e Kurt Jooss. La prima, allieva e compagna del teorico ungherese, avrebbe poi finito per reagire violentemente contro i principi del suo maestro, fondando una scuola autonoma.


Jooss, da parte sua, opererà efficacemente una sorta di sintesi artistica tra il balletto accademico e la danza espressionista, tramite una serie di composizioni satiriche tra il macabro e il grottesco, costruite sulla base della tecnica classica.


Ciò a cui mirava von Laban era essenzialmente una spiegazione del movimento in termini razionali. Tale tentativo equivaleva a cogliere la fonte del movimento stesso in base alla comprensione di quella parte dell'interiorità umana da cui nasce l'azione. Secondo lo studioso, infatti, esiste un rapporto diretto e costante tra la motivazione interiore da una parte e la sua espressione esterna nel gesto dall'altra: concezione questa che accomuna tutti i creatori della danza moderna. Ciò che si configura come fattore peculiare e distintivo di von Laban è l'aver concepito tale rapporto come definibile in termini quasi matematici: la sua ricerca è volta a rintracciare l'esistenza del nesso imprescindibile che lega la sorgente volitiva del gesto al gesto stesso. Nella sua prospettiva, soltanto un'analisi di questo tipo può far cogliere l'intimo significato della danza, del come e del perché il movimento si trasfigura in arte.
In "The Mastery of Movement" lo studioso giunge a definire la significatività del gesto tramite la classificazione dei movimenti come centrifughi (dal centro verso la periferia, gli arti) e centripeti (dagli arti verso il centro, il tronco), distinguibili attraverso quattro condizioni che li rendono manifesti:
  1. l'uso di una zona particolare del corpo, la zona che si muove;
  2. la direzione del movimento del corpo nello spazio;
  3. il ritmo di sviluppo della sequenza motoria e il tempo in cui viene eseguita;
  4. la posizione degli accenti e l'organizzazione delle fasi.

Von Laban ha voluto dare applicazione pratica a questa sua concezione tramite la creazione di alcune coreografie senza musica oppure con il solo accompagnamento di strumenti a percussione: per esempio Prometeo, Titan e Don Giovanni.
Nella storia della danza moderna, egli è uno dei primi a reclamare la soppressione del supporto musicale: un punto di vista che verrà ripreso da molti dei danzatori di questo secolo, i quali cercheranno di risolvere in tal modo il complesso rapporto musica-danza.
Sulla base ritmica del movimento che gli scaturisce da dentro, il danzatore trasfigura in simbolo la realtà della vita, che è tensione volitiva verso uno scopo immanente o trascendente. Rudolf von Laban può in questo modo giungere a definire il nesso costante tra necessità interiore e movimento. La danza è evocazione di vita, in quanto evocazione degli eterni rituali dell'umanità da una parte, rapporto intimo con la natura attraverso il ritmo dall'altra.


Da: "La danza moderna" di Leonetta Bentivoglio, Edizioni Longanesi & C.

giovedì 24 marzo 2011

Bandiera madre

I tre colori della vita

"Raccolgaci un'unica bandiera, una speme".
Le parole scritte dal giovanissimo Goffredo Mameli nel suo Canto degli Italiani rappresentano, sin da quel lontano 1847, l'idea dell'unità d'Italia.
La bandiera italiana è il simbolo dell'Italia al quale ogni italiano è legato sin dalla prima infanzia.
La sua nascita è segnata il 7 gennaio 1797, a Reggio Emilia, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, decreta l'adozione della bandiera tricolore.


In occasione del 140° Anniversario dell'unità nazionale, che ha avuto luogo a San Martino della Battaglia, il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, afferma che: "Il tricolore non è una semplice insegna di Stato. E' un vessillo di libertà conquistata da un popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi di fratellanza, di eguaglianza, di giustizia. Nei valori della propria storia e della propria civiltà".

Rita Levi Montalcini
nota introduttiva a "Bandiera madre" di Ugo Bellocchi

Risorse didattiche:
Testo e spiegazione del Canto degli italiani, meglio noto come Inno di Mameli

La danza moderna

La danza moderna si colloca, storicamente, agli inizi del '900, dopo le prime sperimentazioni di movimento libero. Geograficamente, invece, i due fulcri centrali sono gli Stati Uniti e la Germania.

Per parlare di danza moderna bisogna innanzi tutto definire il "balletto"; inteso come balletto classico, che nasce nelle corti italiane e si formalizza in Francia nel '600; che viene considerato oltre Oceano come il paradigma dell'Europa.


Giselle, Fracci - Bruhn (ABT, 1965)

In questo spezzone tratto dal Primo Atto di Giselle è molto chiaro come la musica sia al servizio del movimento, esaltando le capacità tecniche della ballerina.
Il modello romantico del balletto, di cui Giselle è un esempio molto significativo, è costruito da occhio maschile per una platea sostanzialmente composta da uomini. La donna, in queste produzioni, è vista come un oggetto messo su un piedistallo, capace di redimere l'uomo.

Nel '900, però, il pubblico inizia a cambiare e i movimenti femministi fanno la loro comparsa. La presenza femminile delle platee pone nuovi problemi come, ad esempio, quello della danza maschile.
In questo panorama si inserisce il lavoro di T. Shawn "Death of Adonis" (1924) in cui, per la prima volta viene affrontato questo problema.
Shawn, insieme a R. St. Danis, fonda una scuola di danza in cui, alla basa, sta l'idea di virilità: per la prima volta, in America, si inizia a teorizzare la danza maschile. Questo significa non pensare più l'uomo come semplice porteur, chiamato a sollevare e sorreggere la ballerina, ma ad un vero e proprio ballerino, che può esprimersi appieno anche senza la patner.
Nella nuova danza il movimento non è più organizzato per vettori che partono dalla schiena ma risiede nel plesso solare e fa della curva il suo aspetto essenziale. Per quanto riguarda la musica il rapporto viene profondamente rivoluzionato: non vengono più utilizzate musiche espressamente composte per il balletto, ma qualsiasi tipo di musica.



T. Shawn, grazie alla sua formazione teologica, teorizza anche una spiritualità della danza ballando, ad esempio, dei sermoni e dei versetti biblici.


Kinetic Molpai, Men Dancers (1935)

T. Shawn, che nel video è il primo uomo ad uscire sulla scena, fonda una compagnia di soli uomini, i "Man Dancers", per cui compone questa coreografia.
Il "molpai" è un genere musicale di origine greca che, secondo la tradizione avrebbe ispirato la nascita della tragedia. In questa composizione è evidente come il carattere della virilità sia portato all'eccesso, non lasciando dubbi all'osservatore.
In questa coreografia viene utilizzata anche una tecnica emergente all'epoca, la music visualization, in cui si tenta di far corrispondere, almeno teoricamente, alla partitura musicale una partitura corporea.

Dalla scuola di T. Shawn si forma la seconda generazione di danzatori moderni, quella più conosciuta oggi in quanto ha elaborato specifiche tecniche come, ad esempio quella elaborata da M. Graham basata sul respiro e quella di D. Humphrey che fa del concetto di rilascio e recupero un punto focale.

Air for the G Sring, D. Humphrey (1934)

D. Humphrey, inoltre, per la prima volta sostiene che la coreografia non è solo un'organizzazione di passi nel tempo e nello spazio, ma un'assunzione di responsabilità da parte del coreografo nei confronti dell'orrore del presente. Proprio questo è il punto centrale della danza moderna: il ruolo del coreografo. Nella danza moderna si viene a rompere anche il rapporto mimetico con la musica, dando avvio ad un'espressività emozionale. Humphrey sceglie, in quest'ottica, di utilizzare una suonata di Bach non solo il quanto simbolo di una classicità, ma in risposta all'orrore della Prima Guerra Mondiale, come esemplificazione del bello.

In Europa il centro della "nuova danza" è la Germania, con una scuola di origine Ungherese a cui appartiene anche R. Laban. In questo periodo la nuova danza emergente, quella espressionista, viene largamente utilizzata dal Regime nazionalsocialista che andava a formarsi.


Hexentanz, M. Wigman (1926)

Nella "Danza della strega" di M. Wigman, danzatrice prediletta di R. Laban, la femminilità viene del tutto negata, sottolineando invece la forza e la durezza, due qualità chiave per il nazionalsocialismo.

mercoledì 23 marzo 2011

Memory sonoro

Uno dei dispositivi didattici che mi è sempre piaciuto sfogliando le guide è il "memory sonoro".
In un mondo che predilige la vista, educare e sviluppare l'udito mi sembra essenziale nell'ambito di un percorso con bambini della scuola dell'infanzia e della scuola primaria.

Per realizzare il mio "memory sonoro" ho recuperato dei bussolotti che solitamente contengono le sorpresine degli ovetti. Io li ho scelti di due colori per rendere più facile il gioco, ma possono tranquillamente essere tutti dello stesso colore.


Ho quindi riempito ogni bussolotto dello stesso colore con un materiale diverso:
  • vuoto;
  • una monetina da 1 centesimo;
  • chicchi di riso;
  • sale grosso;
  • coriandoli di carta;
  • pallina di legno;
  • pasta tipo orecchietta;
  • graffetta per fogli;
  • spaghetti;
  • pezzi di cannuccia;
  • elasticini.

Sembra un gioco semplice, abbinare il bussolotto azzurro al rispettivo arancione, ma non è così facile distinguere i suoni. Importante quindi, per permettere l'autocorrezione, è rendere sempre possibile guardare all'interno del bussolotto.

martedì 22 marzo 2011

Giri di parole IV

Ossimoro, intelligente stupidità

Le figure retoriche hanno tutte nomi un po' difficili. Oggi parleremo dell'ossimoro, che nella lingua greca significa "intelligente stupidità". Già dalla spiegazione dell'origine della parola avete una traccia per capire in cosa consiste l'ossimoro: nella stessa parola, infatti, vengono accostati due concetti opposti, l'intelligenza e la stupidità. L'ossimoro si basa proprio su questo meccanismo di contrasto tra due parole che sembrano escludersi a vicenda.
Pensate a espressioni come "ghiaccio bollente", "silenzio eloquente", "silenzio assordante", "amaro piacere", "lucida pazzia", "calma tempestosa". Ognuna di queste coppie forma un'espressione nella quale vengono accostate due parole di significato contrario.
Perché si usano gli ossimori? Perché, per l'originalità dell'accostamento tra due parole che esprimono concetti opposti, gli ossimori destano meraviglia, colpiscono l'immaginazione di chi ascolta o legge. Proprio per queste caratteristiche la figura retorica dell'ossimoro è stata sfruttata dagli scrittori. Giovanni Pascoli, per esempio, in una sua poesia scrisse

Che si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria l'aria; un suo vapor che bagna
l'anima d'un oblio dolce e crudele

accostando dolce e crudele, due aggettivi di significato contrario.
Gli ossimori vengono usati anche nel linguaggio della politica. Molti anni fa fu lanciata l'espressione "convergenze parallele": due rette parallele, come sappiamo, non possono convergere, ma l'espressione fu usata per indicare un accordo fatto tra partiti di impostazione e ideologia diverse.

Da: Popotus, 12 Febbraio 2011


lunedì 21 marzo 2011

Tecnica Release

La Release Tecnique è una tecnica di danza contemporanea nata negli Stati Uniti intorno agli anni 70.
I fondamenti basilari di questo stile di danza sono:
  • recupero dell'organicità del movimento;
  • fluidità;
  • elasticità;
  • scioltezza delle articolazioni;
  • consapevolezza dello spazio, del peso, del tempo e del flusso del movimento.
Questa tecnica insegna parte dall'ascolto del proprio corpo e sulle sensazioni cinestetiche individuali.


Sfruttando semplici leggi fisiche, come ad esempio la forse di gravità, tutti sono messi nella condizione di danzare utilizzando il minimo dispendio energetico. Alla base dell'uso della forza di gravità sta il supporto: la danza classica tende ad elevarsi verso il cielo, la danza contemporanea, invece, tende a ritornare alla terra e a sfruttarla al meglio.
Le radici di questo nuovo modo di danzare sono rintracciabili, tra gli altri, negli approccio allo studio del movimento umano di Feldenkrais e Laban.
Attualmente questa tecnica è molto popolare in tutto il Nord Europa. In Italia questo stile è rappresentato sopratutto dai danzatori della compagnia Deja Donne.

venerdì 18 marzo 2011

Bridging

R. Feuerstein ha fondato un metodo educativo che porta il suo stesso nome.
Un concetto importantissimo in questo metodo è il "bridging", cioè creare ponti tra il "qui e ora" e la "vita.
Il bridging, nello specifico, è una tecnica che consiste nel creare dei collegamenti concreti nella vita dei partecipanti che riguardano l'argomento che si vuole trattare. Questa tecnica è molto utile anche quando si rincontra un gruppo dopo un certo periodo di tempo: è essenziale creare ponti con la lezione precedente.
Il bridging si può ottenere in modi differenti:
  • richiamando i ricordi parlando;
  • riassumendo il "sentito" con una parola e collegare le parole a coppie.
Il vero apprendimento è strutturale; cioè si apprende realmente solo quando il concetto entra nella propria vita.

giovedì 17 marzo 2011

Burattini

L’origine del pupazzo animato è antichissima; scavi archeologici in Egitto e Mesopotamia hanno rivelato la presenza di figure mobili che avevano funzione sia rituale che di intrattenimento.

Il burattino “nostrano è mosso internamente dalla mano del burattinaio che agisce dal basso. I burattini giapponesi, detti bunrakuza, sono rigidi e alti da un metro e un metro e mezzo e sono vuoti internamente. Hanno costumi ricchissimi e vengono usati per la rappresentazione di poemi epico-cavallereschi sul mondo dei samurai. Per animarli occorrono tre burattinai che agiscono alle spalle del pupazzo.

Le notizie sull’origine e la diffusione in Occidente di burattino sono ancora oggi in gran parte da ricostruire. A ciò ha sicuramente contribuito la confusione tra i termini “burattino” e “marionetta”.

Notizie meno vaghe si reperiscono sui testi a partire dal XIII secolo, quando probabilmente i burattini vengono usati dai giullari nei loro spettacoli. Durante il Medioevo, inoltre, i fantocci animati venivano usati per le Sacre Rappresentazioni; ma il tipo di pupazzo adoperato era molto più simile all’odierna marionetta che al burattino. La storia delle origini di queste due forme di spettacolo va quindi di pari passo e il loro luogo di nascita è comune: la piazza.

E’ appunto in piazza che i burattini agiscono al seguito di ciarlatani e saltimbanchi, che se ne servono come richiamo per il pubblico.

Nel corso del XVII secolo si ha notizia dell’estendersi degli spettacoli di pupazzi animati dalle piazze ad ambienti chiusi, case e tetri. Si tratta però, ancora una volta, di spettacoli di marionette. Il loro repertorio passa in questa fase dalle Sacre rappresentazioni a spettacoli più elaborati come il melodramma.

L’autorità civile, religiosa e letteraria non elaborò particolari restrizioni per questa forma di spettacolo. Molto problematico era invece il rapporto con il “potere”: gli autori-attori erano poco ossequiosi verso le autorità e difficilmente controllabili in quanto i loro spettacoli molto spesso erano basati sull’improvvisazione.

Il termine burattino comprare per la prima volta nel 1580. Burattin è una maschera della Commedia dell’Arte. Controverso è il rapporto tra questo Burattino maschera e il burattino fantoccio ma, nonostante queste controversie il burattino continuò a essere presente sulle piazze Italiane e straniere.

Il personaggio più famoso del teatro dei burattini è Pulcinella. Durante tutto il XVIII secolo ha un successo strepitoso, è conosciuto in tutta Europa, fino a quando, nel 1789, Polinchiello viene decapitato con il re, perché giudicato troppo aristocratico.

Dopo la Rivoluzione Francese, con la nascita del teatro giacobino, le maschere entrano in crisi; si opera una riforma dei testi che privilegia la dignità dell’uomo.

Nell’Ottocento, accanto all’osservazione estetica, si unisce l’interesse per il tipo di repertorio offerto dal teatro dei burattino e marionette. In esso acquista un’importante fondamentale la satira che, per la situazione politica, censoria del tempo, non poteva scegliere che questi palcoscenici per esprimere la rabbia popolare.

In perfetta coerenza con le teorie romantiche del secolo, diventa altresì importante fissare i valori di questo tipo di spettacolo: si raccolgono i copioni degli spettacoli, nascono le prime compagnie stabili e i burattini ,per la prima volta, vengono indirizzati ad un pubblico infantile.

In epoca più moderna alcuni esponenti del Futurismo scelgono l’attore meccanico, la marionetta, per rendere il concetto di movimento e di ritmo.

La notorietà di questa forma di spettacolo non conoscerà mai un calo, a livello popolare, neanche durante la guerra.

In anni recenti l'interesse per questa forma di spettacolo si è maggiormente accentuato, grazie a quel fenomeno detto "folk revival" e all'introduzione nelle scuole grazie al teatro d'animazione. I materiali di costruzione adoperati non sono più limitati al legno e, da quando i burattini sono approdati in tv, anche le tecniche di animazione si sono arricchite e modificate.

mercoledì 16 marzo 2011

Il Cavallo rosso

In questo clima di festa nazionale volevo segnalare un libro che mi era stato consigliato durante l'ultimo anno delle scuole superiori.


Uscito nel maggio 1983, "Il cavallo rosso" di Eugenio Corti è stato considerato un grande caso letterario. Grande sia per la mole di pagine che accompagnano il lettore tra il 1940 e il 1974 sia per il successo riscosso.
Le vicende raccontate si intrecciano con i grandi avvenimenti della storia italiana ed europea. Catturato dalla trama, il lettore gioisce, soffre, ride, piange e cresce insieme con i protagonisti e gli altri personaggi del romanzo che si muovono tra la Brianza e altri luoghi d'Italia, nonché all'estero soprattutto in Russia e in Germania.

Oltre l'Oceano questo romanzo è stato così recensito da P. Milward, professore emerito della Sophia University di Tokyo:

Quel è il più grande romanzo del Ventesimo secolo? Come al solito differenti persone hanno opinioni differenti. Molti voti sono stati espressi a favore di "Ulysses" di James Joyce... Molti inoltre si sono chierati a favore de "Il signore degli anelli" di Tolkien... Ora io ho un terzo voto da assegnare in favore di un recente romanzo italiano che è stato paragonato in non poche riviste a "Guerra e pace" di Tolstoj... Sto parlando de "Il cavallo rosso" di Eugenio Corti, uscito nel 1983... e pubblicato in inglese dalla Igantius Press nel 2000. Per la lunghezza, che nella versione inglese supera le mille pagine, potrebbe benissimo essere paragonato a "Il signore degli anelli", e la quantità è confermata dalla qualità... L'autore emerge come testimone della Chiesa cattolica dei tempi moderni, non solo nell'Italia del dopoguerra, ma anche, e ancor più, nel mondo dopo il Concilio Vaticano II... E' veramente la più grande opera epica cattolica... Non solo è la mia scelta favorita come migliore libro del Ventunesimo secolo, ma considerando la data di traduzione in inglese, chiede d'essere messo in lizza anche per il Ventunesimo secolo.

Questa idea di una storia "cattolica" può essere applicata anche agli eventi che vengono festeggiati quest'anno: il Risorgimento.
La visione cattolica del Risorgimento vede questo periodo storico iniziare con l'invasione di Napoleone che giustifica le sue spedizioni con l'ideale della "Libertà", libertà che in questa interpretazione viene intesa come liberazione dal cattolicesimo e, come nodo centrale, la questione dell'"istruzione".
Durante il Risorgimento la libertà di insegnamento non è stata affermata in modo forte e chiaro come ad esempio è stata affermata la libertà di stampa.
Massimo D'Azeglio; celebre per la sua frase: "L'Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani"; vorrebbe che gli italiani smettessero di essere superstiziosi e vorrebbe imporre delle idee illuministe. Per fare questo i Padri del Risorgimento sciolsero tutti gli ordini insegnati e impedirono ai cattolici di insegnare nelle scuole pubbliche.
Nel 1851 Spaventa affermava che la libertà dovesse valere per tutto e tutti tranne che per la scuola in quanto si sarebbe partiti da una situazione di disuguaglianza in cui le scuole cattoliche erano più numero di quelle comunali.
Nel 1887, una circolare massonica affermava che dovevano essere i Massoni ad occuparsi dell'istruzione, che non bisognava dare "patenti" ai cattolici e che i sindaci dovevano scegliere insegnati neutri o anticattolici perché la scuola doveva essere "libera" dal cattolicesimo. Se questo piano non fosse riuscito, si proponeva di far credere che il clero fosse ottuso, bigotto e predicatore di falsi valori.
Mazzini, nel 1971 a Risorgimento finito, conia il termine "libertà d'istruzione": la propaganda non andava più bene, lo Stato doveva diventare il padrone dell'istruzione per insegnare i principi liberali.
In Italia ci sarebbe, quindi, un monopolio assoluto dell'istruzione, sorvegliato da organi burocratici.


Un film del 1972, "Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato" di F. Vancini, la rivolta scoppiata a Bronte dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia. Garibaldi, nel tentativo di ristabilire l'ordine, invia Nino Brixio in città e lo invita ad applicare lo stato d'assedio. Costituito un tribunale di guerra circa 150 persone vengono giudicate e 5 di queste condannate all'esecuzione capitale. Alla luce delle ricostruzioni successive verrà appurata l'innocenza dei condannati fra i quali l'avvocato Nicola Lombardo.

Giri di parole III

Non sei un'aquila e neppure un agnellino

C'è una figura retorica che ha un nome un po' difficile, ma appena ne avrete letto qualche esempio la riconoscerete, perché l'avrete di sicuro usata o ascoltata tante volte. Si tratta della litote. La parola viene, come al solito, dalla lingua greca, nella quale significa semplicità, attenuazione. Consiste nell'affermare, in forma attenuata e spesso ironica, una qualità, negando la qualità contraria.
Per esempio, quando si dice che una persona non è un'aquila, o che non è un genio, si vuol far capire che non è molto intelligente. Oppure, se di qualcuno si dice che non brilla per la sua puntualità, si vuole alludere al fatto che è sempre in ritardo. Allo stesso modo, per far capire che una persona è molto aggressiva, si dice che non è un agnellino.
La litote si può usare per modestia (un giovane non privo di talento), oppure per moderare la crudezza di un giudizio negativo (quel quadro non è certo un capolavoro), oppure con una funzione rafforzativa (nell'incidente la macchina ha avuto un danno non indifferente).
Non sempre la litote ha valore negativo: se dico che quel film non è brutto, quel prezzo non è alto, o quel libro non è banale, voglio dire che quel film è abbastanza bello, che quel prezzo è giusto, che quel libro è originale.
In fondo, anche la litote è un perifrasi, cioè un giro di parole: se ne volete un esempio famoso, andate a leggere il primo capitolo dei "Promessi sposi". Nel suo famoso romanzo, Alessandro Manzoni invece di dire che Don Abbondio era pauroso e un po' vigliacco, scrisse:

Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato
con un cuor di leone.

Da: Popotus, 5 Febbraio 2011

martedì 15 marzo 2011

Rossini incontra Luzzati

Un modo divertente per presentare la musica classica ai bambini, in particolare quella di Gioacchino Rossini, può essere quella di mostrargli le tre animazioni prodotte da G. Gianini e E. Luzzati tra il 1964 e il 1973.

Gioacchino Rossini
Gioacchino Antonio Rossini, nato a Pesaro il 29 febbraio 1792, è stato un grande compositore italiano.
La sua attività ha spaziato attraverso vari generi musicali, ma è ricordato soprattutto come uno dei grandi operisti della storia, autore di spartiti famosissimi come "Il barbiere di Siviglia".

Emanuele Luzzati
Emanuele Luzzati nasce a Genova nel 1921, è noto soprattutto come scenografo ed illustratore.
Nel 1972 espone alla Biennale di Venezia nella sezione Grafica sperimentale. Nel 1975 fonda, insieme a Trionfo e Conte, il Teatro della Tosse per il quale realizza scene e costumi. Nel 1988 illustra "Le fiabe dei fratelli Grimm" per le edizioni Olivetti.
Dopo aver allestito diverse mostre, nel 1995 riceve il premio Ubu per la scenografia del Pinocchio prodotto dal Teatro della Tosse di Genova.
Il 1 giugno 2001è nominato dal Presidente Ciampi "Grande ufficiale della Repubblica".

Giulio Gianini
Il nome di Giulio Gianini è legato soprattutto a quello di Lele Luzzati con il quale ha realizzato alcuni dei capolavori della storia del cinema animato.
Nato a Roma il 9 Febbraio 1927, Giulio Gianini si è diplomato all'Accademia delle Belle Arti. Dopo aver frequentato i corsi di architettura entra nel mondo del cinema come direttore della fotografia, specializzandosi nell'uso del colore. A metà degli anni '50 incontra casualmente Luzzati, che come lui è appassionato al teatro dei burattini. Inizia qui una lunga collaborazione.
Dagli anni '80 Gianini ha iniziato una lunga attività didattica, insegnando nel Centro Sperimentale di Scenografia.

Omaggio a Rossini
Quest'opera riunisce in se tre animazioni: "L'italiana in Algeri", "Pulcinella" e "La gazza ladra".


L'italiana in Algeri è la storia dell'opera omonima raccontata in tono favoloso e ironico nei dieci minuti della sinfonia.



Pulcinella non riesce a riposare perché la moglie lo butta giù dal letto. Invece di lavorare Pulcinella fa la pipì davanti a un monumento: i Carabinieri lo vedono e vogliono arrestarlo. Ce la farà Pulcinella a scappare dalla moglie e dai Carabinieri?


La gazza ladra è la storia di tre re che, stanchi di farsi la guerra per questioni di confine, decidono di unirsi e di muovere all'attacco di un nemico più facile e inerme: gli uccelli.


Tratto da:
Omaggio a Rossini, edizioni Gallucci

lunedì 14 marzo 2011

San Patrizio

May the road rise to meet you,
may the wind be always at your back,
may the sun shine warm upond your face,
and the rains fall soft upond your fields and,
until we meet again, may God hold you in the palm of His hand.

Il 17 Marzo, soprattutto in Irlanda, verrà festeggiato San Patrizio.
Patrizio d'Irlanda, nato con il nome di Maewyin Succat, scelse successivamente in nome latino di Patrizio, fu vescovo e missionario irlandese di origine scozzese.


Per la verità non si hanno molte informazioni su San Patrizio. Nacque in Scozia intorno al 385; figlio di una nobile famiglia, fu rapito e venduto come schiavo ad un pastore irlandese. Dopo anni di lavoro, imparò il Gaelico e riuscì a recarsi prima in Gran Bretagna e poi in Francia e Italia, dove poté iniziare a studiare. Al suo ritorno in Irlanda, divenuto vescovo, iniziò a convertire la popolazione dal paganesimo al cristianesimo, così come volle Papa Celestino. La sua morte è avvenuta il 17 Marzo 461.
Attorno alla sua figura sono sorte numerose leggende, per esempio sull'isola d'Irlanda non ci sarebbero più serpenti da quando San Patrizio li cacciò in mare oppure il celebre pozzo di San patrizio, il pozzo senza fondo, da cui si aprivano le porte del Purgatorio.


Nelle leggende di San Patrizio è presente anche il simbolo dell'Irlanda, il trifoglio. Grazie al trifoglio, si racconta infatti, San Patrizio avrebbe spiegato agli irlandesi il concetto della Trinità, sfogliando le tre piccole foglie legate ad un solo stelo.
Tutte queste leggende hanno influenzato l'idea di San Patrizio che è giunta fino a noi: mentre guida i serpenti fuori dall'Irlanda; mentre predica con un serpente arrotolato attorno al suo bastone pastorale; con un trifoglio in mano; con libro e penna, i diavoli ai suoi piedi e un angelo sopra di lui.

Materiali:
Lavoretti semplici di San Patrizio (istruzioni in inglese)
Attività e disegni da colorare e stampare

Danza classica accademica

Secondo Platone la danza è movimento ritmico del corpo. Quindi la danza usa quale strumento il corpo umano e forse per questo essa favorisce, più delle altre arti, l'estrinsecazione dell'interiore personalità del soggetto. Durante l'esecuzione della danza si è obbligati a concentrare al massimo il proprio pensiero su ciò che si sta facendo. [...]
La danza è anzitutto una teoria da analizzare, ma anche una disciplina da vivere e un metodo per conoscere se stessi, il quale contribuisce più delle altre arti a manifestare la propria vita interiore.
La danza è un'arte rappresentativa, quale il dramma e la mimica, e ha rapporti con le altre manifestazioni artistiche quali l'architettura, la scultura e la pittura e con le arti "sonore" quali la poesia, la musica e e l'eloquenza. La troviamo, fin dall'antichità classica, personificata in Tersicore, figlia di Giove e di Mnemosine, e collocata nel complesso delle nove Muse, raffigurata in atteggiamento di danza perenne attorno ad Apollo.

Tersicore, A. Canova

La danza, che è essenzialmente movimento stilizzato della figura umana, è da considerarsi antecedente a qualsiasi altra forma espressiva dell'uomo. Infatti la prima manifestazione di vita è il movimento nel grembo della madre; non è quindi illogico pensare che anche la prima espressione artistica dell'uomo sia movimento cioè danza.

Dopo l'avvio alla danza e la propedeutica, i giovani allievi iniziano a gettare le basi della danza classica.
Il compito fondamentale del primo corso consiste nell'impostazione del corpo, delle gambe, delle braccia, delle mani, della testa e nell'allenamento mediante esercizi elementari di danza atti a sviluppare l'abitudine al movimento coordinato.


I problemi basilari del secondo corso sono: l'incremento della forza dei piedi con esercizi sulla mezza punta e sulla punta; lo sviluppo della stabilità e l'accrescimento dell'energia muscolare della gamba aumentando la quantità dei movimenti già studiati; lo sviluppo della tecnica e l'esecuzione degli esercizi del balletto in tempo veloce. Infatti, rispetto a quella del primo corso, la musica per l'accompagnamento della lezione del secondo corso esige, per la maggior parte, una grande varietà nel disegno ritmico e una generale accelerazione del tempo.


Anche nel terzo corso, come nei primi due, in un primo tempo si cerca di applicare esattamente le regole, quindi si sviluppa la forza e la resistenza consolidando la stabilità negli esercizi sulle mezze punte al centro della sala. In pari tempo si comincia a porre gli elementi che garantiranno la sicura acquisizione delle successive fasi didattiche, e ciò mediante l'arricchimento, fatto di sfumature e di abbellimenti artistici, e il coordinamento dei movimenti separati appresi nelle classi precedenti. Rispetto al secondo corso l'insegnamento esige che l'accompagnamento musicale sia ancora più variato nel disegno ritmico e i tempi generalmente più accelerati.


Immagini tratte da:

Testo tratto da: Invito alla danza classica, E. Cecchini

giovedì 10 marzo 2011

Coreografo

- Se un bambino ti domandasse che cosa significa coreografo, che cosa gli risponderesti? - chiese David, sprofondato nella più grande poltrona di Gerald. La cena era finita, e i due uomini sedevano accanto al fuoco.
- Puoi sempre dire che deriva dal greco, choros danza e grafein scrivere - suggerì Gerald.
- Scrittore di danze! - sorrise David. - Questa spiegazione non ci dà un grande aiuto, visto che l'unica cosa che un coreografo non fa è scrivere!
- Chi te l'ha fatta quella domanda? - volle sapere Gerald.
- La bambina della mia padrona di casa - rispose David. - Ha appena incominciato la scuola di ballo, e avendo scoperto che il mio lavoro c'entra in qualche modo, vuole sapere che cosa faccio e perché.
- Che cosa le hai risposto?
- Che stabilisco i passi per i ballerini.
- Abbastanza giusto - disse Gerald.
- Mi ha detto che allora anche lei è una coreografa, poiché stabilisce i passi che deve fare, e naturalmente io mi sono trovato molto impacciato a tentar di spiegarle che in realtà si tratta di qualche cosa di più.
- E' molto difficile spiegare cosa sia la coreografia. - Gerald prese una sigaretta dalla scatola che gli stava accanto sul tavolo, e la osservò pensosamente.
- E' strano; poche persone, estranee al mondo del balletto, ne sanno qualcosa - disse David. - Alcuni credono persino che i ballerini inventino i loro passi al momento, sul palcoscenico.
- Ispirati dalla musica - mormorò Gerald.
- Sì. Rimangono molto stupiti apprendendo che i passi vengono attentamente studiati e provati in precedenza.
- Il coreografo, insomma, è prima di tutto il disegnatore della danza: una specie di architetto - disse Gerald. Egli pensava allo schema su cui ogni danza era costruita: un insieme di curve e di linee tracciate dai piedi dei danzatori, nel loro movimento sul palcoscenico. Il coreografo vi lavorava come l'architetto alla fondamenta della casa. Petipa lo schizzava sulla carta: le linee diagonali ce il corpo di ballo percorreva sul palcoscenico; l'ampia curva di una processione, i cerchi intersecantisi dei solisti.
Questo disegno viene perduto, generalmente, dal pubblico della platea. Solo gli spettatori della galleria, che osservano il palcoscenico dall'alto, possono pienamente ammirarne la perfezione.

Soltanto quando è stabilito il disegno, il coreografo lavoro al vero e proprio enchaînement dei passi: e a questo punto cessa di essere un architetto, e diventa veramente un artista, perché crea la bellezza, come un pittore o uno scultore. Ma questa bellezza non è fissata su una tela, o racchiusa in un blocco di marmo; si muove viva sulla ribalta, per essere meglio apprezzata, questa volta, dal pubblico della platea.



Il lavoro del coreografo non finisce qui: non basta creare semplicemente una bella danza. Occorre anche comunicare uno stato d'animo, o un'emozione. [...]
Infine il coreografo deve anche raccontare la storia. L'azione di un balletto, di solito, viene raccontata mimicamente. [...]



Quando Petipa, però, doveva dare delle notizie più complesse, usava uno speciale sistema di gesti che si era stabilito a poco a poco. Sembrava un alfabeto muto. La mano intorno al viso significava "bellezza", il pugno chiuso e le braccia incrociate, "morte". Toccarsi alternativamente le spalle con la mano piatta significava "soldato"; la mano sul cuore voleva dire "amore".
Al tempo di Petipa c'era una lunga lista di questi segni convenzionali: impararli faceva parte dello studio d'ogni ballerino. Tutti i coreografi dell'epoca li usavano, e tutti i gli spettatori abituali del balletto li conoscevano e li interpretavano facilmente.
Solo all'inizio del ventesimo secolo, con l'affermarsi della nuova concezione del balletto, questo alfabeto muto scomparve. I coreografi moderni preferiscono sostituirlo con una mimica più immediata [...]. Essi sottolineano i gesti naturali e l'espressione di ogni singolo personaggio, adattandoli alla storia in modo che il pubblico capisca quello che avviene senza dover conoscere un linguaggio convenzionale, o studiare prima la lunga nota stampata sul programma.
- Si potrebbe anche dire che il coreografo è come un direttore d'orchestra - notò David, dopo una lunga pausa. - Dirige i ballerini come il direttore i musicisti.
Infatti gli considerava i danzatori della Aston Company nello stesso modo in cui Ernest, il direttore d'orchestra, considerava i sonatori. Entrambi erano dei mezzi attraverso i quali sia il coreografo che il direttore d'orchestra potevano esprimere la loro arte: il primo dando vita ad un nuovo balletto o ricreandone uno classico secondo un gusto del tutto personale; il secondo eseguendo una propria composizione o interpretando una delle grandi sinfonie.
- Sì, - precisò Gerald - la danza è la musica che tu dirigi. I vari passi sono per te ciò che le note sono per un compositore.
- Eppure molti pensano che un balletto sia una ripetizione all'infinito della stessa successione di passi - disse David. - Ammettono senza difficoltà che un compositore possa variare illimitatamente la successione delle note su una tastiera, ma si stupiscono apprendendo che i movimenti umani possono essere usati allo stesso modo, e combinati in un numero infinito di danze originali.
- Eccoti a posto - rise Gerald. - Puoi dire alla bambina della tua padrona di casa che il coreografo è l'architetto, l'artista, il direttore e il compositore della danza. Rimarrà molto colpita! E subito vorrà sapere dove si impara tutto questo!


Da: Il balletto classico, di J. Selby-Lowndes

Costruzioni modulari con Geomag

Utilizzando Geomag è possibile introdurre facilmente il concetto di "costruzione modulare".

Nell'arte classica il modulo era il diametro maggiore di una colonna. A partire da questa misura venivano prese le misure di tutti gli altri elementi, con precisi rapporti di proporzione matematica.
Oggi il modulo è un'unità di un edificio che viene ripetuta più volte. In un'architettura modulare ogni blocco fisico implementa una o uno specifico insieme di funzioni e ha relazioni ben definite con gli altri blocchi.

Uno dei più facili moduli realizzabili con Geomag è senza dubbio il triangolo; nello specifico un triangolo equilatero (due barrette per ogni lato).


Per costruire una torre modulare occorre costruire diversi di questi triangoli equilateri.


Si prende, quindi, uno di questi triangoli e si piegano le punte verso l'interno.


Si inserisce, all'interno delle punte il secondo triangolo e si chiudono, quindi, con tre barrette le punte precedentemente piegate.


A questo punto bisogna riprendere dall'inizio, piegando nuovamente le punte verso l'interno.


Continuando in questo modo è possibile ottenere una torre molto alta. Io ho ottenuto questa con una confezione da 184 pezzi di Geomag:

mercoledì 9 marzo 2011

Mercoledì delle ceneri

Oggi, per il calendario liturgico romano, è il Mercoledì delle Ceneri.
Come un cappotto che ci viene messo addosso inizia il tempo della Quaresima, perché il calendario ci dice così: è il 9 Marzo



Durante la celebrazione del Mercoledì delle Ceneri il celebrante sparge un pizzico di cenere benedetta sul capo e sulla fronte dei fedeli per ricordare loro la finitezza della vita terrena e per spronarli all'impegno penitenziale della Quaresima.

Come accade per tutte le maggiori celebrazioni liturgiche, anche il Mercoledì delle Ceneri può vantare una serie di curiosità e usanze particolari riservate a questo giorno. A cominciare dal nome proprio Cenerina, Cenerino al maschile, per passare alla tradizionale scampagnata sul Monte Somma in Campagna.
In alcune parti d'Italia, inoltre, il Mercoledì delle Ceneri è vissuto in modo più "trasgressivo" in quanto considerato come ultimo giorno di Carnevale.

Questa festività è stata fonte di ispirazione per vari artisti come ad esempio:



Mercoledì delle ceneri (R. Tommasi Ferroni)

Ma anche film, romanzi, poemi e album.


Materiali:
Il rito delle Ceneri spiegato ai più piccoli

Giri di parole II

Quanta prosopopea quando parla il gatto

Vi sarà capitato spesso di leggere storie nelle quali esseri viventi, concetti astratti o oggetti vengono umanizzati e rappresentati come persone. Pensate, per esempio, al gatto, alla volpe, al grillo parlante nelle pagine di Pinocchio, agli animali parlanti nelle Favole di Esopo e di Fedro o nella Fattoria degli animali di George Orwell, al coniglio in panciotto in Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. L'elenco potrebbe continuare a lungo. In tutti questi casi gli animali sono stati personificati: in fatti parlano proprio come persone.
Questo stesso processo di personificazione avviene anche quando si danno qualità umane a oggetti inanimati o idee astratte: pensate a frasi come "il mare mormora" o "il vento scrive sulla sabbia", oppure alla personificazione della Patria, rappresentata infinite volte nei poemi e nelle opere letterarie come una donna.


Si tratta, ancora una volta, di una figura retorica. Il suo nome, come sempre, viene dal greco: prosopopèa, che significa, appunto, personificazione.
La parola viene anche usata, in senso figurato, con il significato di "tono pomposo, aria di solennità eccessiva e ridicola, di atteggiamento di presunzione e arroganza", in frasi come: "parlare, comportarsi con prosopopea, la prosopopea dei pedanti, ecc".



Materiali:

San Martino testo poetico di Giosuè Carducci

Il vento da "La natura nelle poesie di adulti e bambini" di Mario Lodi

Marzo testo poetico di Giorgio Caproni

Da: Popotus, 19 Febbraio 2011

lunedì 7 marzo 2011

Pedagogia della musica

Se oggi la "Pedagogia del risveglio"; cioè la teoria elaborata da Delalande secondo cui i bambini andrebbero incoraggiati a svolgere un'esplorazione sonora prima che educati teoricamente, in quanto solo attraverso un'esperienza preliminare di ricerca sonora, di creazione di gusto sonoro, si può rendere più proficua l'acquisizione di tecniche; è diventata il punto di riferimento teorico più aggiornato per progettare un'educazione musicale rivolta ai piccoli, balza vistosamente agli occhi la parentela che tale proposta intrattiene con quelle avanzate, sin dagli inizi del Novecento, da Rosa Agazzi e da Maria Montessori.

Rosa Agazzi
Convinta della necessità che il bambino debba essere circondato da materiali che fanno parte della sua quotidianità, e che da questi debba scaturire un'attività didattica che privilegi e valorizzi l'intuizione del singolo e del gruppo in situazioni di cooperazione, Rosa Agazzi (1886-1951) predispone il "Museo delle cianfrusaglie": gli oggetti e i materiali (cianfrusaglie) raccolti dai bambini, e che catturano la loro attenzione, vengono usati successivamente come dispositivi didattici. Gli oggetti raccolti vengono ordinati per colore, materia e forma; vengono confrontati tra loro per scoprire somiglianze e uguaglianze. Applicato al mondo dei suoni, il "Museo delle cianfrusaglie" offre inaspettate possibilità didattiche.
Rosa Agazzi ha concentrato la sua attenzione particolarmente sul canto, soprattutto spontaneo, dei bambini, quale coadiuvante dell'apprendimento linguistico e motorio, e sull'educazione dell'orecchio sotto forma di gioco costruttivo. Per l'educatrice di Mompiano la voce; il mezzo musicale di più immediato utilizzo; si rivela indispensabile per educare l'orecchio a:
  • percepire l'altezza, l'intensità, la qualità e la bellezza dei suoni;
  • educare il gusto estetico attraverso il riconoscimento e l'apprezzamento del "suono gentile";
  • promuovere il coordinamento percettivo-motorio, modalità che l'educatrice riconosce quale risposta spontanea del bambino alla musica.
Maria Montessori
Le convinzioni didattiche di Maria Montessori, basate sull'educazione ai sensi, coinvolgono le percezioni uditive (musicali e sonore) allenate con materiali didattici appositamente realizzati come, ad esempio, le "Scatole dei rumori" o la "Serie di campanelli".
Convinta che la musica aiuti e potenzi la capacità di concentrazione e aggiunga un nuovo elemento alla conquista dell'ordine interiore e dell'equilibrio psichico del bambino, Montessori fa delle'elemento sonoro uno degli assi portanti della sua didattica sensoriale.
La Montessori pone l'alfabetizzazione alla scrittura musicale convenzionale come tappa conclusiva obbligatoria di un percorso musicale che, partendo dal risveglio uditivo sensoriale, passi attraverso una sempre più accurata capacità di cogliere, discriminare, riconoscere e intonare vocalmente il sistema scalare occidentale.

Lasciando sullo sfondo queste due grandi pedagogiste della musica, e non solo, è importante sottolineare come la musica abbia un valore educativo di notevole rilievo anche in funzione dell'incontro con l'altro inteso come "altro da me". Il linguaggio musicale infatti costituisce un canale privilegiato di relazione e condivisione di esperienze.
L'educazione musicale può contribuire inoltre all'educazione delle "life skills", definite dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come quelle abilità, competenze "che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana".
In sostanza l'attività musicale contribuisce allo sviluppo di attività trasversali quali:
  • le abilità percettive;
  • la strutturazione spazio-temporale;
  • la concentrazione e la memoria;
  • i concetti: topologici, logico-matematici di seriazione e classificazione e di relatività;
  • le procedure;
  • l'espressione di sé e la comunicazione con diversi linguaggi;
  • il pensiero creativo in un contesto di gruppo.

L'educazione musicale

L'espressione musicale, ma anche quella teatrale, si compone di due spazi correlati e condivisi fra i partecipanti. Il primo è lo spazio dove i partecipanti si trovano realmente, dove possono comunicare, conoscersi e avere una buona relazione tra loro; il secondo, invece, è il mondo creato dall'immaginazione, dove ogni partecipante prende parte interpretando il testo.
E' molto importante che ogni partecipante esprima le proprie sensazioni riguardo a quello che andrà ad interpretare; ciò è fondamentale per venire a conoscenza dei punti in comune e le differenze fra i diversi partecipanti per poter così trovare, grazie al lavoro insieme, l'interpretazione condivisa del testo o della musica.

Importantissimo è creare un ambiente in cui tutti riescano ad esprimersi liberamente e a partecipare attraverso le varie espressioni della voce.
Un esempio molto in uso in Giappone è lo "Siritori" (letteralmente "prendere per il culo", cioè prendere la fine della parola precedente): Kobuta, Tanuki, Kitsune, Neko (Porcellino, Procione, Volpetta, Gattino).



Dopo le parole "prese per la fine" vengono prodotti i suoni onomatopeici dei nomi detti dai partecipanti. E' quindi importante elencare nomi di animali o oggetti rumorosi.
Attività come questa si reggono sulla voglia di ogni partecipante di rispondere e avere qualche cosa da dire.

Combinando: suono, ritmo, parole, frasi e melodie si possono proporre esercizi come "La staffetta dei suoni" (con uno strumento, ma anche con il proprio corpo o con oggetti di tutti i giorni produrre, uno alla volta un suono) o "I suoni cosa dicono?" (dialogo a due o più utilizzando solo gli strumenti).

Da queste due semplici indicazioni si capisce come ogni approccio alla musica debba tenere insieme tre aspetti:
  • quello emotivo, dagli affetti;
  • quello cognitivo, dell'intelletto;
  • quello prassico, del fare.
Se l'attività musicale viene svolta collaborando con la teatralità il linguaggio musicale diventerebbe più concreto e verrebbe maggiormente espresso con il pensiero e l'intenzione.